Archivio mensile:Luglio 2015

La “buona scuola” è legge. Che cosa c’è, che cosa manca?

Il 9 luglio, la Camera dei Deputati ha approvato la “buona scuola”. Che cosa comprende il provvedimento che dall’anno prossimo cambierà alcuni aspetti nella vita delle nostre scuole? Il nostro delegato al MIUR, Andrea, ce lo spiega con un grafico…
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…e qualche parola di spiegazione.

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Che ne pensa il Msac della riforma? Il nostro segretario, Gioele, ne ha parlato con il quotidiano Avvenire:

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Secondo noi, insomma, si poteva fare di più, e lo abbiamo sostenuto durante tutto il percorso di discussione. Quel che è certo è che ora si apre una nuova fase: la “buona scuola” dovrà essere attuata, dentro le scuole, e per questo saranno protagonisti gli studenti, gli insegnanti, i genitori, i dirigenti scolastici.

Referendum in Grecia: scenari di cambiamento per l’Europa

di Giovanni Mugnaini (Incaricato regionale MSAC Toscana)

“Descrivi i risvolti politici ed economici del referendum greco del 5 Luglio 2015”. Una domanda di un professore di storia alla quale gli studenti dovranno rispondere, in un futuro non molto lontano. Storia, sì, perché quanto accaduto ieri in Grecia e, soprattutto, le reazioni che ci saranno nei prossimi giorni, finiranno presto sui libri scolastici.

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Dal 1992 a oggi molti sono stati i referendum sull’Unione Europea e sull’Euro, alcuni con risultati ‘pesanti’ (per esempio, il 28 Settembre 2000, il popolo danese votò “no” alla moneta unica). Ma il referendum tenutosi ieri in Grecia assume un’importanza particolare. Alla popolazione greca era chiesto se volesse accettare o meno l’accordo proposto dai creditori (ovvero chi ha fornito prestiti alla Grecia durante la crisi: la Banca Centrale Europea, l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale): in pratica, un piano concordato di tagli e riforme per poter accedere a nuovi prestiti. Ha trionfato il “no” con circa il 61% dei voti, respingendo le proposte giudicate figlie delle politiche di “austerità”, ovvero di riduzione e stabilizzazione delle spese dei Paesi membri, da parte dell’Unione Europea. Un risultato che apre scenari nuovi, “inediti”, come ha detto il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che non ha mancato di richiamare a un senso di responsabilità comune per cercare di trovare un accordo. Questo percorso inesplorato che da ieri sera la Grecia, come tutta l’Ue, ha intrapreso rischia di diventare come l’approdo dell’ultimo viaggio di Ulisse (anche lui greco, un caso?), che Dante narra nel canto 26esimo dell’Inferno: un naufragio.

Ma la Grecia, culla della civiltà occidentale, con la vittoria del “no” potrebbe dare origine alla rinascita di un’Europa migliore. La politica di austerity sostenuta dalla Ue (e soprattutto dalla Germania) deve essere soggetta a un cambiamento, e deve essere rivista anche la politica europea. Al tavolo delle trattative della Ue si parlerà certamente di come gestire e, soprattutto, se dare degli aiuti economici alla Grecia e quindi rivedere la politica economica del Vecchio Continente. Ma si discuterà soprattutto se tenere la Grecia nell’Unione oppure no. Prima del referendum questo era un argomento “tabù”. Da oggi, contenti o no, c’è il dovere di prendere in considerazione quest’opportunità. Il pericolo esiste ed è più vivo che mai anche se Tsipras in primis ha più volte affermato che il “no” non equivale a una richiesta di uscire dalla Ue.

Parlamento-Europeo

L’Unione si trova con le spalle al muro: dare aiuti alla Grecia o cacciarla? Entrambe le soluzioni hanno degli aspetti negativi. Primo perché espellere la Grecia danneggerebbe tutta l’Unione rischiando di farla fallire. Secondo perché la Russia sta agendo da “spettatore interessato”, con Putin che ha già strizzato l’occhio alla Grecia, offrendole solidarietà e il coinvolgimento di Atene nella costruzione di un tratto del gasdotto Turkish Stream in territorio greco. Uno stretto legame russo-ellenico è un rischio da non sottovalutare.

Dall’altra parte anche Tsipras e il suo governo si trovano con le spalle al muro: l’astuta mossa politica del referendum probabilmente l’ha reso più forte in Grecia e in Ue, perché facendo decidere al popolo ha giustificato le sue azioni dando la parola alla democrazia. Ora però si trova davanti a un bivio: con la vittoria ha preso il coltello dalla parte del manico, ma la punta è rivolta verso la stessa Grecia, come una nuova spada di Damocle. Le sue promesse (alcune quasi impossibili, come quella di riaprire le banche oggi, sostenuta anche da Varoufakis, il suo ormai ex Ministro delle Finanze) adesso le deve realizzare. E se è vero che parte del popolo greco si lamenta del fatto che Tsipras non abbia rispettato gran parte delle promesse fatte, ora non può più sbagliare, pena il fallimento del governo e, quel che è peggio, dello Stato.

Il primo ministro greco, Alexis Tsipras

Il primo ministro greco, Alexis Tsipras

La speranza cui dobbiamo aggrapparci è che si possano aprire delle vere trattative (le dimissioni di Varoufakis, da sempre l’uomo più deciso del governo Tsipras potrebbero facilitarle) per cercare di trovare un accordo tra l’Unione europea e la Grecia e che non ci sia un “muro contro muro”, che le parole a caldo di ieri sera del Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble presagiscono.

Dobbiamo augurarci che ciò non accada anche perché l’Italia, come la Francia, non è immune dalla crisi che si verrebbe a creare con l’uscita della Grecia. Un mancato accordo sarebbe una vittoria dei nazionalismi. Potrebbero rafforzarsi fronti intransigenti e spesso demagogici che spingerebbero per un’uscita dall’Euro, senza valutarne le effettive conseguenze.