Una scuola che dura… tutto l’anno!

di Don Nicolò Tempesta – apparso su “Il fatto del Giorno”

Giorni fa mi è capitato di condividere su un autobus a Roma un po’ di tempo con alcuni giovani ragazzi che commentavano con piacere la notizia apparsa quasi a sigillare l’anno scolastico (già tormentato) 2009-2010: la proposta dell’apertura delle scuole dopo il 30 settembre.

Si tratta di una proposta contenuta in un disegno di legge presentato alla commissione istruzione del Senato e che vede il posticipo dell’inizio dell’anno scolastico al 30 settembre. Un ritorno al passato, come negli anni Sessanta/Settanta, quando la scuola iniziava i primi di ottobre, proposto anche per aspettare la fine del caldo di settembre e “allungare la stagione estiva anche rispetto al ciclo meteorologico. Ciò permetterebbe alle regioni a vocazione balneare un prolungamento della stagione turistica” e di conseguenza “potrebbe aiutare le famiglie a organizzare meglio il periodo delle vacanze e dare anche un aiuto al turismo”.

Basta questa bella notizia  commentavano i ragazzi con i loro zainetti pieni di libri e i loro sorrisi furbi – per anticipare le vacanze! Che gran bella notizia! E intanto il dibattito (non solo politico!) è aperto, proprio come le vacanze che sono ormai alle porte.

Guardavo l’orologio e mancava più di mezz’ora alla mia fermata, mi sono ricordato dei tempi belli della mia età scolare, gli ultimi compiti in classe e le vacanze che sembravano una conquista perché avevo avuto un buon voto sulla pagella scolastica: la vera firma di chiusura all’anno che era ormai al termine.

Così nell’isolamento da trasporto, tipico di chi usa i mezzi per spostarsi, mi sono nate un po’ di domande. Mi sono chiesto se questo è proprio quello che ci vuole alla nostra istituzione scolastica sempre più sotto l’occhio del ciclone; mi sono pure domandato se in un contesto socio-economico più che “liquido”, direi anzi abbastanza fluttuante, come il nostro, l’immagine un po’ fantozziana della famiglia che può programmare le sue vacanze sino a settembre corrisponda alla realtà concreta di chi, con molta probabilità, quest’anno non potrà neppure permettersi “le ferie” considerando soltanto i costi dell’apertura della scuola (settembrina o meno) e il loro peso sul bilancio familiare di fine mese. Mi sono posto pure il quesito circa la data di chiusura delle scuole: se essa verrà posticipata, gli alunni saranno costretti ad andare a scuola fino alla fine di giugno e ad affrontare la maturità fino a luglio. Sono ancora obbligatori secondo la direttiva europea i 200 giorni di scuola su 365? Dal momento che il calendario scolastico è competenza delle regioni e non del governo centrale, non sarebbe opportuno un accordo tra Stato e poteri locali? E infine m chiedo se gli effetti della proposta garantiscono un miglior rendimento scolastico, sebbene ciò interessi ancora a qualcuno.

Al di là dell’immediatezza e forse della superficialità di queste considerazioni che mi fanno pensare alla ferialità della vita delle nostre famiglie, mi domando anche quale sia la differenza tra la nostra scuola e, magari, un centro commerciale, senza orari e forse con l’unico criterio oggi valido, quello finanziario, uno spazio solo “economico” dove far scorazzare i bilanci, i tagli e tutto il resto. I tempi di inizio e fine, le vacanze extra estive si accorciano, si allungano, si spostano senza tener conto di quanto sia cambiata materialmente (e non solo) la vita di genitori, figli e nonni.

Conviene forse che recuperiamo una delle più belle definizioni di scuola (attribuita ad Alberto Magno maestro di san Tommaso d’Aquino! Scusate se è poco!) come laboratorium animae. Spazio dove ci si educa e si cresce: questo è importante! Credo che l’urgenza sia quella di una scuola che riscopra in modo nuovo il suo compito educativo e si organizza per assolvere in modo rinnovato la sua dimensione di “laboratorio” dove si costruisce mattone dopo mattone, con pazienza, la comunità degli uomini di domani.

La scuola educa non ad intermittenza, quasi diluendo in pillole di tempo un tipo di cultura che corre il rischio di diventare sempre più informativa e poco formativa, ma mostrando ai ragazzi il carattere vitale del sapere e facendo assaporare la ricchezza che la scuola stessa ha in ordine alla crescita dell’umanità di ciascuno. Sarebbe utile riproporre le istanze culturali di questo nostro tempo per capire meglio la realtà e per saper interagire con essa; ma sarebbe meglio proporre il sapere per comprendere la propria umanità, nel suo senso e nei suoi valori. Una scuola che nel suo bilancio preventivo alla fine dell’anno scolastico si propone di assumere in pieno la sua funzione educativa, in questo nostro tempo di emergenza educativa (o forse di emergenza educatori!!) è una scuola che ripensa complessivamente il suo progetto riproponendosi come laboratorium animae.

La scuola è luogo di vita, un piccolo universo in cui si intrecciano molte dimensioni: è spazio di cultura, ma anche luogo di relazioni, di trasmissioni di valori, di legame con il territorio e le sue istituzioni… ciascuno di questi aspetti credo debba essere ripensato e re-interpretato alla luce del compito educativo che qualifica e orienta la nostra cara scuola.

Abbiamo bisogno di quella stessa scuola che ha educato tutti quanti noi ad andare a “scuola da grandi”, tutti i giorni, secondo una bella poesia di un educatore che sin da piccoli abbiamo incontrato sui banchi della scuola del nostro paese: Gianni Rodari. C’era tempo sufficiente per poterlo studiare e imparare a memoria le sue filastrocche.

Anche i grandi a scuola vanno
tutti i giorni di tutto l’anno.
Una scuola senza banchi,
senza grembiuli nè fiocchi bianchi.
E che problemi, quei poveretti,
a risolvere sono costretti:
“In questo stipendio fateci stare
vitto, alloggio e un po’ di mare”.
La lezione è un vero guaio:
“Studiare il conto del calzolaio”.
Che mal di testa il compito in classe:
“C’è l’esattore delle tasse”!