C’è bisogno di una scuola…

di don Nicolò Tempesta

C’è bisogno di una scuola…

È ormai da giorni suonata la campanella che segna la fine delle lezioni (almeno per quest’anno scolastico) e per la scuola è tempo di bilanci. Il punto è proprio questo: la qualità della scuola costruisce una società di qualità domani. Essere uomini e donne di qualità. Ciò che la scuola  insegna e trasmette oggi, sappiate che la società lo ritroverà germogliato dopo. Se la scuola semina con larghezza, senza calcolo, ciò che è vero, giusto, amabile, puro, alto e profondo e che può durare anche per il domani, significa che ha a cuore il bene di tutti. Si riscopre ancora una volta primaria nel suo ruolo educativo: la scuola quando educa è sempre “scuola primaria”, una scuola di qualità.

La triste e desolante vicenda di questi giorni nella provincia di Roma che ha votato una interpellanza per dotare le scuole medie superiori di distributori di preservativi, collocati tra le bibite e le merendine, ci deve indurre a chiedere: cara scuola, che ne è del tuo ruolo educativo? Siamo tuttavia convinti che, a dispetto degli scenari catastrofici e di una politica di restrizione finanziaria che ha toccato i settori del servizio pubblico, in particolare la scuola, la fatica e la bellezza di educare, ci permette di guardare ancora una volta al nostro sistema di istruzione come ad un punto di riferimento importante per ragazzi, giovani e famiglie.

C’è bisogno di una scuola che non solo insegni a fare, ma ancor di più educhi a essere. La scuola, nel suo ruolo educativo si riscopra una comunità educante che aiuti a fare unità nella persona. Una scuola che giorno per giorno, prenda per mano i ragazzi aiutandoli a scoprire la bellezza di una vita che diventa dono. Innanzitutto lo sviluppo e la crescita (anche culturale) dei nostri studenti, non potrebbe realizzarsi senza il previo riconoscimento di quei bisogni fondamentali che speso incrociano la vita di relazione dei nostri ragazzi. Primo fra tutti il bisogno di appartenenza e di amore che viene a spezzare l’isolamento e la sensazione di vuoto interiore dei giovani studenti.

C’è bisogno quindi di una scuola che si riappropri essenzialmente della sua dimensione educativa. Potrebbe significare oggi, educare la coscienza a scegliere il  bene per sé e per la comunità dando all’educazione valenza etica; qui vengono chiamate in causa – concretamente – tutte le agenzie educative che dovrebbero parlare tra di loro lo stesso linguaggio e intendersi; penso innanzitutto alla famiglia e alla parrocchia.

C’è bisogno di una scuola che educhi la coscienza, sempre più oggi “scatola vuota”, frutto di quel relativismo etico dominante, che ci priva di quei contenuti veritativi che aiutano i nostri ragazzi a crescere. Il deficit educativo qui è deficit di verità morale e espressioni come “mi regolo in coscienza”, “faccio ciò che mi dice la mia coscienza” – soprattutto in campo di educazione sessuale – divengono segno dell’autoreferenzialità di un soggetto che ha come punto di riferimento solo se stesso. In un acuto e recente saggio di Umberto Galimberti leggo che i giovani stanno male “perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui” (L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano 2007, p.11). Tutti auspichiamo a scola un ritorno a quella che i greci chiamavano “l’arte del vivere che, fondamentalmente, consiste nel riconoscere le proprie capacità – e sui banchi se ne scoprono tante! –  per vederle fiorire secondo misura.

C’è bisogno di una scuola che domandi agli insegnanti di essere bravi formatori, capaci di intessere un proficuo rapporto di dialogo e reciproca fiducia che, essenzialmente, è una relazione tra persone caratterizzate da dono e rispetto reciproco. E se l’educazione è offrire alle giovani generazioni il bene più prezioso, quello che corrisponde alla loro autentica realizzazione, la scuola, realizzerà compiutamente la sua funzione educante se aiuterà i nostri giovani a “fare discernimento” (cf. Ts 5,21-22) per cogliere il bene nella vita e della vita.

C’è bisogno di una scuola che inizi a educare all’amore responsabile, che tenga conto non tanto “di vasi da riempire – ricordava già Quintiliano (35-95 d.C.) – ma di fiaccole da accendere”. Una scuola che educhi anche al sacrificio ma che faccia innamorare i nostri ragazzi di ideali alti per i quali vale la pena spendersi e che non installi semplicemente distributori di preservativi e pensare così di risolvere il “problema” dell’educazione sessuale deresponsabilizzando famiglie, studenti e docenti e lasciando soli i ragazzi nel far west delle scelte facili, appaganti e banali.

Desidero ricordare lo scrittore Daniel Pennac che nel “Diario di scuola”, alla fine del percorso di riflessione sulla sua esperienza scolastica a chi gli chiede il segreto per rinnovare l’insegnamento e rivitalizzare la relazione educativa e quali siano le strategie didattiche da intraprendere, dietro l’insistenza dell’interlocutore dice, che lo strumento fondamentale attraverso cui possiamo rinnovare l’educazione è semplicemente l’amore. L’amore per le persone concrete – i volti, le storie, i nomi che incontriamo a scuola – può “tirare fuori il meglio” che ognuno di noi si porta dentro. Non è forse questa l’origine etimologica del verbo “e-ducare”?