Per non dimenticare. Mai.

 

Nei giorni in cui facciamo memoria della Shoah e di tutti gli stermini dovuti a motivi etnici e razziali, l’Ac ripropone un testo storico di Primo Levi e una riflessione di Gianni Di Santo sulla musica che nasce dal cuore di chi ha sofferto

Dall’Appendice di “Se questo è un uomo”, Primo Levi, Einaudi, edizione novembre 1976

“Forse, quanto è avvenuto non si può comprendere, anzi, non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare. Mi spiego: ‘comprendere’ un proponimento o un comportamento umano significa (anche etimologicamente) contenerlo, contenerne l’autore, mettersi al suo posto, identificarsi con lui. Ora, nessun uomo normale potrà mai identificarsi con Hitler, Himmler, Goebbels, Eichmann e infiniti altri. Questo ci sgomenta, ed insieme ci porta sollievo: perché forse è desiderabile che le loro parole (ed anche, purtroppo, le loro opere) non ci riescano più comprensibili. Sono parole ed opere non umane, anzi, contro-umane, senza precedenti storici, a stento paragonabili alle vicende più crudeli della lotta biologica per l’esistenza. A questa lotta può essere ricondotta la guerra: ma Auschwitz non ha nulla a che vedere con la guerra, non ne è un episodio, non ne è una forma estrema. La guerra è un terribile fatto di sempre: è deprecabile ma è in noi, ha una sua razionalità, la ‘comprendiamo’.

Ma nell’odio nazista non c’è razionalità: è un odio che non è in noi, è fuori dell’uomo, è un frutto velenoso nato dal tronco funesto del fascismo, ma è fuori ed oltre il fascismo stesso. Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire di dove nasce, e stare in guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.

Per questo, meditare su quanto è avvenuto è un dovere di tutti. Tutti devono sapere, o ricordare, che Hitler e Mussolini, quando parlavano pubblicamente, venivano creduti, applauditi, ammirati, adorati come dèi. Erano ‘capi carismatici’, possedevano un segreto potere di seduzione che non procedeva dalla credibilità o dalla giustezza delle cose che dicevano, ma dal modo suggestivo con cui le dicevano, dalla loro eloquenza, dalla loro arte istrionica, forse istintiva, forse pazientemente esercitata e appresa. Le idee che proclamavano non erano sempre le stesse, e in generale erano aberranti, o sciocche, o crudeli; eppure vennero osannati, e seguiti fino alla loro morte da milioni di fedeli. Bisogna ricordare che questi fedeli, e fra questi anche i diligenti esecutori di ordini disumani, non erano aguzzini nati, non erano (salve poche eccezioni) dei mostri: erano uomini qualunque. I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere veramente pericolosi; sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e ad obbedire senza discutere, come Eichmann, come Hòss comandante di Auschwitz, come Stangl comandante di Treblinka, come i militari francesi di vent’anni dopo, massacratori in Algeria, come i militari americani di trent’anni dopo, massacratori in Vietnam.

Occorre dunque essere diffidenti con chi cerca di convincerci con strumenti diversi dalla ragione, ossia con i capi carismatici: dobbiamo essere cauti nel delegare ad altri il nostro giudizio e la nostra volontà. Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti; è meglio rinunciare alle verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicità e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis. È meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento, e che possono essere verificate e dimostrate.

È chiaro che questa ricetta è troppo semplice per bastare in tutti i casi: un nuovo fascismo, col suo strascico di intolleranza, di sopraffazione e di servitù, può nascere fuori del nostro Paese ed esservi importato, magari in punta di piedi e facendosi chiamare con altri nomi; oppure può scatenarsi dall’interno con una violenza tale da sbaragliare tutti i ripari. Allora i consigli di saggezza non servono più, e bisogna trovare la forza di resistere: anche in questo, la memoria di quanto è avvenuto nel cuore dell’Europa, e non molto tempo addietro, può essere di sostegno e di ammonimento”.

Senza confini. Ebrei e zingari nella Giornata della Memoria. Gianni Di Santo

Il violino di Ion Stănescu sembra uscito fuori da quella banda multiculturale che ha reso grande uno dei film più belli dello scorso anno, Il Concerto. È davvero pazzesco il suono del suo violino. Moni Ovadia racconta che l’unica spiegazione a tale virtuosismo incredibile risiede nel fatto che solo i popoli esiliati e perseguitati, chi ha percepito il dolore sulla propria pelle, possono avere questa forza propulsiva che gli esce fuori dall’anima, così, all’improvviso.

Ebrei e rom, in ciò, sono maestri. Lui, Stănescu, madre rom e padre ebreo, lo trovi primo violino nelle grandi orchestre sinfoniche della musica ungherese e rumena, così come, con il cappello in mano, a suonare musica nelle strade e nelle metropolitane delle nostre città. Solo per il piacere della musica. Così come Marian Serban, al cymbalon, altro strano strumento nato dal pianoforte ma dal suono percussivo-melodico. Marian ne è maestro: ascoltarlo nelle piazze romane è un godimento. Come folgoranti e molto gipsy sono le note di Albert Florian Mihai su una fisarmonica suonata a una velocità strabiliante, con variazioni jazzistiche e uso dei tempi dispari che fanno arrossire tanti musicisti molto più famosi di lui.

Insomma, la musica. Perché la musica, quella vera che interroga l’anima e percorre i cammini dei popoli, è una delle arti “spiritualmente nobili” che restituisce al mondo l’amore per la verità storica. Senza confini. Ebrei e zingari, il concerto-spettacolo di Moni Ovadia con la sua orchestra itinerante e sgangherata fatta di rom, ebrei e italiani in bilico tra Antico Testamento e terre del Sud, è un piccolo ma appassionato contributo alla battaglia contro ogni razzismo. Nella Giornata della Memoria, una sorta di testamento biologico. Andrebbe proiettato nelle scuole. Rom ed ebrei, i due popoli fratelli, a lungo hanno marciato fianco a fianco nella sorte, ma dopo la persecuzione nazista, le strade si sono divise. Gli ebrei hanno cambiato in meglio la loro storia, il popolo rom invece molto spesso continua a subire il calvario del pregiudizio, dell’emarginazione.

Uno spettacolo da non perdere. Un contributo sonoro che è un omaggio al gusto della libertà e alla storia, troppo spesso enunciata e poco praticata, dei diritti umani. Per una Giornata della Memoria più equa e rispettosa delle vicende storiche dell’ultimo secolo.

Un miracolo che, a volte, solo la musica riesce a fare.

Gianni Di Santo