Brevi considerazioni su “Brexit”
a cura di Monica Del Vecchio (Dottore di ricerca in Diritto Internazionale e dell’Unione Europea)
Cos’è
Brexit (Britain + Exit) è l’espressione con cui si definisce il possibile ritiro volontario del Regno Unito (Gran Bretagna e Irlanda del Nord) dall’Unione Europea. La questione è molto attuale, poiché il prossimo 23 giugno 2016 i cittadini britannici e nordirlandesi saranno chiamati a esprimersi in un referendum e a scegliere se continuare a rimanere nell’Unione, come vorrebbe il fronte del REMAIN, oppure lasciarla, come sostiene il fronte opposto del LEAVE.
David Cameron
Il referendum del 23 giugno è stato promosso dall’attuale Premier David Cameron, leader del partito Conservatore (Tory), il quale ha fatto del Brexit un punto chiave dell’ultima campagna elettorale, che ha portato alla sua riconferma come Primo Ministro. Formalmente il referendum ha carattere consultivo, cioè non obbliga il Parlamento inglese ad adottare una legge che sia conforme al risultato elettorale; difficilmente, però, si potrà non tenere conto della volontà degli elettori, soprattutto se la maggioranza si dovesse esprimere per l’uscita dall’UE.
Il recesso dall’Unione Europea
I Trattati istitutivi dell’UE ammettono la possibilità che uno Stato membro decida di ritirarsi volontariamente dall’Unione Europea (art. 50 Trattato UE): tecnicamente si parla di “recesso”. Il recesso non può essere, ovviamente, immediato: è prevista infatti una fase transitoria, durante la quale si svolgono apposite trattative tra lo Stato e l’Unione.
La posizione “speciale” del Regno Unito.
Sin dalla sua adesione all’allora Comunità Economica Europea, avvenuta nel 1973 dopo un lungo negoziato, il Regno Unito ha mantenuto, in un certo senso, uno status particolare, che proviamo a riassumere schematicamente.
- Il Paese non aderisce all’Euro: non è dunque vincolato alla politica monetaria determinata dalla Banca Centrale Europea, che invece vincola i 19 Stati membri della cosiddetta “Eurozona”.
- Schengen. Il Regno Unito non ha aderito all’Accordo di Schengen, il trattato internazionale del 1985 che ha abolito le frontiere tra gli Stati firmatari e che nel 1999 è divenuto parte integrante del diritto UE. Regno Unito e Irlanda, dunque, mantengono i controlli.
- Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il Regno Unito ha chiesto e ottenuto una partecipazione parziale, attraverso un sistema di deroghe: ha facoltà di opt-in, cioè può scegliere di volta in volta se partecipare all’adozione di una norma in questo ambito, o di applicarla se già adottata; ha facoltà di opt-out, cioè può decidere di non partecipare all’applicazione di una norma già adottata.
- Carta dei diritti fondamentali. Con il Trattato di Lisbona, la Carta è diventata giuridicamente vincolante per gli Stati membri dell’UE, al pari dei trattati. Tuttavia, un apposito protocollo voluto proprio da Regno Unito e Polonia ne chiarisce l’ambito di applicazione, limitando in un certo senso il controllo della Corte di giustizia dell’UE sulla conformità delle leggi dei due Paesi rispetto alla Carta.
Le possibili conseguenze di Brexit.
Diciamolo subito: non è possibile prevedere fino in fondo le conseguenze dell’eventuale vittoria del fronte del leave, dal momento che, come abbiamo detto, il ritiro del Regno Unito dall’Unione Europea sarebbe preceduto da due anni di negoziati. Tutto, dunque, dipenderebbe dall’esito di queste trattative.
Tuttavia, tra i tanti scenari possibili, proviamo a formulare molto sinteticamente alcune considerazioni.
Le conseguenze economico-finanziarie. A riguardo, ci sono opinioni discordanti: nessuno sa davvero con certezza come reagiranno le borse e i mercati di fronte alla decisione del Regno Unito di ritirarsi dall’Unione. Le variabili in gioco sono tante e il loro andamento non è sempre prevedibile. C’è chi ipotizza un rallentamento della crescita economica in tutta l’UE, c’è chi afferma che il rallentamento riguarderà solo l’economia britannica che si troverà isolata. C’è chi intravede uno shock finanziario e un forte aumento dei prezzi (inflazione), c’è invece chi sostiene che la sterlina “assorbirà il colpo”, che arriverà a una sostanziale parità con l’euro – oggi una sterlina vale circa 1,30 euro – e che questa sarà da stimolo per le esportazioni.
Davanti a uno scenario così complesso, ci limitiamo a considerare alcuni dati di fatto. Al bilancio dell’Unione Europea verrebbe a mancare l’apporto della quota britannica, che dovrà essere dunque redistribuita tra gli altri Stati membri. Londra, però, non beneficerà più dei fondi europei e dell’accesso ai mercati degli altri Paesi UE, perdendo così opportunità commerciali e di investimento che allo stato attuale risultano essere determinanti per l’economia nazionale (il Regno Unito è un grande fornitore di servizi a tutti gli altri Paesi europei). In breve, Brexit significa perdere i benefici derivanti dalla partecipazione al mercato unico europeo.
Il mercato unico. L’uscita dall’UE comporterebbe l’automatico abbandono del mercato unico, cioè lo spazio interno all’UE in cui i fattori produttivi (merci, servizi, lavoratori e capitali) si “muovono” liberamente, senza barriere commerciali o restrizioni tecnico-giuridiche. A rigor di logica, quindi, una volta fuori dal mercato unico, alle merci inglesi tornerebbero ad applicarsi i dazi doganali (tasse che colpiscono le merci alla frontiera) e ai prestatori di servizi non si applicherebbe più la disciplina europea, che protegge da ogni discriminazione basata sulla nazionalità (principio della parità di trattamento). Verrebbero dunque meno le condizioni favorevoli di cui il Regno Unito, come tutti gli altri Membri dell’Unione, hanno beneficiato fino a ora.
Due strade eviterebbero questo “isolamento”. Il Regno Unito potrebbe tornare a far parte dell’Area Economica Europea, di cui fanno parte Islanda, Norvegia e Lichtenstein, oppure negoziare un accordo di libero scambio con l’Unione, come ha fatto la Svizzera (tutti e quattro i Paesi extra-UE sono membri, tra l’altro, dell’EFTA, l’Associazione europea di libero scambio, di cui ha fatto parte anche il Regno Unito, prima della sua adesione all’UE). E’ ragionevole ipotizzare che Londra scelga una di queste due strade e, contrariamente a quanto attualmente sostenuto dal Premier Cameron, eviti di rimanere fuori dal mercato unico.
La mobilità dei lavoratori e degli studenti. Fra gli aspetti di Brexit che suscitano maggiore preoccupazione vi è la questione della mobilità dei lavoratori e degli studenti verso il Regno Unito, tra le mete privilegiate anche dagli italiani. Entrambe le categorie citate godono della libertà di circolazione e di soggiorno nell’UE: ogni cittadino europeo può viaggiare liberamente e può decidere di trasferirsi in un altro Stato membro dell’Unione per lavorare (o anche solo per cercare un lavoro), per studiare o, semplicemente, per … cambiare vita (ad alcune condizioni).
Il ritiro dall’UE comporta la perdita di questi benefici, sebbene, come detto più volte, non immediatamente. Ragionevolmente, il Regno Unito negozierà con l’Unione nuove regole di permanenza sul proprio territorio, soprattutto per i cittadini stranieri giù presenti e regolarmente stabiliti. Sarebbe opportuno, tuttavia, che le trattative del periodo transitorio fossero orientate anche a mantenere il mercato del lavoro inglese aperto e accessibile a tutti i lavoratori europei.
Sarà interessante capire cosa farà Londra rispetto a Erasmus+, il programma europeo che ha consentito a milioni di studenti di tutta Europa di svolgere un’esperienza di studio all’estero. Fuori dall’UE, senza il sostegno dei fondi Erasmus+, la mobilità studentesca verso il Regno Unito diventerebbe dal punto di vista economico più costosa e molto più complicata dal punto di vista burocratico. Anche in questo caso, tuttavia, il Paese potrebbe negoziare un accordo speciale, garantendo una qualche forma di contropartita.
Osservazioni finali. Al di là dell’eventuale “effetto domino” che potrebbe suscitare – c’è già chi parla di Nexit (Netherland + exit), cioè l’uscita dei Paesi Bassi dall’UE – Brexit segnerebbe davvero una svolta epocale.
Il Regno Unito abbandonerebbe il più evoluto tra tutti i progetti di integrazione fra Stati che la storia abbia conosciuto. Una realtà come l’Unione Europea ha indubbiamente i suoi costi, ma ha anche vantaggi economici, giuridici e sociali che non hanno mai avuto pari. Settant’anni in cui sono stati costruiti più diritti, più opportunità. Settant’anni in cui il tenore di vita generale dei cittadini europei è cresciuto.
Queste non sono opinioni, ma dati di fatto. Su cui speriamo che i cittadini del Regno Unito che giovedì andranno a votare possano riflettere. E riflettere bene.