Rendo ancora omaggio agli ex internati e deportati, vittime e testimoni dell’orrore dei campi in Germania, cui abbiamo appena conferito la Medaglia d’onore.
A conclusione di questa cerimonia, ancora una volta così significativa e coinvolgente per l’intensità della riflessione e per la ricchezza di voci cui ogni anno dà spazio qui in Quirinale, vorrei dire brevi parole, anche – in qualche modo – di bilancio. Caro Presidente Gattegna, può immaginare come io condivida la sua emozione nell’accomiatarci dopo sette anni, per quel che mi riguarda almeno nelle funzioni di Presidente della Repubblica. Con lei, d’altronde, abbiamo condiviso sempre sentimenti e pensieri celebrando il Giorno della Memoria.
E’ stato questo tra gli impegni ricorrenti con cui mi sono maggiormente identificato, dal punto di vista non solo istituzionale ma personale, in senso storico e morale. Ringrazio anche il ministro Profumo per aver sottolineato il contributo di impulso e sostegno che è stato da me rivolto in particolare al mondo della scuola.
Vedete, credo che possiamo, tutti insieme, esprimere soddisfazione per il cammino percorso e i risultati raggiunti in questi anni nel coltivare la memoria della Shoah, nel diffonderne l’esercizio attivo e consapevole, nel farne sprigionare – in tutta la loro straordinaria molteplicità e ricchezza – insegnamenti e messaggi essenziali non solo per la comprensione della storia ma per la costruzione del futuro.
L’esempio più eloquente ce l’offre la scuola. Abbiamo ascoltato dal ministro cifre e fatti che testimoniano quale estensione e quali diverse concrete espressioni abbia assunto un impegno di conoscenza e di partecipazione sui temi della Shoah, ormai divenuto parte integrante del percorso scolastico e di formazione civile degli studenti in ogni parte d’Italia.
Ma meritano egualmente di essere valorizzate tutte le iniziative che hanno rispecchiato un’accresciuta sensibilità delle istituzioni, della società civile, dei cittadini. Ringrazio il dottor De Bortoli per averci presentato l’appena aperto Memoriale della Shoah presso quel Binario 21 della stazione di Milano centrale la cui visita, qualche anno fa, mi è rimasta fortemente impressa.
Egli ha avuto ragione di richiamarci nello stesso tempo alla necessità di tenere alta la guardia, di vigilare e reagire contro persistenti e nuove insidie di negazionismo e revisionismo magari canalizzate attraverso la Rete. E anche di evocare un fenomeno che rischiamo di sottovalutare, e che invece si lega, come grave fattore inquinante, a vicende e processi politici in atto non solo nel Medio Oriente : il fenomeno cioè dell’antisemitismo come dimensione del fondamentalismo islamico.
Da noi, in Italia, propagande aberranti si traducono in diverse città in fatti di violenza e contestazione eversiva da parte di gruppi organizzati : come quelli su cui è intervenuta, nei giorni scorsi, con provvedimenti motivati, la Procura della Repubblica di Napoli. C’è da interrogarsi con sgomento sia sul circolare, tra giovani e giovanissimi, di una miserabile paccottiglia ideologica apertamente neonazista, sia sul fondersi di violenze di diversa matrice, da quella del fanatismo calcistico a quella del razzismo ancora una volta innanzitutto antiebraico. Abbiamo letto perfino di progetti che a Napoli si sarebbero ventilati di distruzione di un negozio ebreo, o di aggressione e stupro di una studentessa ebrea. Mostruosità anche se solo enunciate, che sollecitano la più dura risposta dello Stato e la più forte mobilitazione di energie nelle scuole, nella politica, nell’informazione, a sostegno degli ideali democratici.
C’è da fare della memoria della Shoah l’asse di una chiarificazione costante e diffusa e di una battaglia ideale e politica non di parte, che vadano al di là degli stessi confini storici della persecuzione, fino allo sterminio, contro gli ebrei (e anche, non dimentichiamolo, contro i Rom e i Sinti). E non solo perché razzismo e xenofobia hanno molteplici bersagli, che fanno tutt’uno con quello posto al centro del criminale disegno hitleriano. Ma perché sono in giuoco valori supremi, che nei ghetti di Cracovia, Lodz o Varsavia – protagonista quest’ultimo della storica rivolta di 70 anni fa – e nei lager di Auschwitz-Birkenau, o Dachau, sono stati calpestati come in nessuna costruzione di pensiero si era prima immaginato potesse catastroficamente accadere : valori di civiltà e umanità senza frontiere di luogo e di tempo, che si chiamano rispetto della dignità della persona, che abbiamo vista invece ridotta a brandello umano, a sopravvivenza nel terrore fino alla soppressione più brutale.
Ma torno alle mie parole iniziali di bilancio per mettere ancora in luce quel che nel concreto siamo riusciti nel nostro paese a realizzare in questi anni di sempre più larga, partecipata e creativa consapevolezza dell’aberrazione introdotta anche in Italia dal fascismo con l’antisemitismo. Attraverso, ad esempio, la scoperta, per tanti delle generazioni più giovani, e quindi la denuncia dell’infamia delle leggi razziali del 1938, di cui Benedetto Croce – che abbiamo di recente commemorato a 60 anni dalla scomparsa – scrisse allora, collocandole tra “gli atroci delitti” che il fascismo stava perpetrando : “la fredda spoliazione e persecuzione”, furono le sue parole, “degli ebrei nostri concittadini, che per l’Italia lavoravano e l’Italia amavano né più né meno di ogni altro di noi”. Di quelle leggi, di quel clima fu vittima, in quanto stroncata nelle sue possibilità di lavoro scientifico e quindi costretta a lasciare l’Italia, la nostra grande Rita Levi Montalcini, cui rivolgo anch’io un pensiero triste e commosso a breve distanza di tempo dalla sua scomparsa.
Ma non è solo per le infamie del fascismo che l’Italia è presente nella ricostruzione storica cui ci sollecita la memoria della Shoah nel Giorno della Memoria. E’ presente in senso positivo e in piena luce per tutte le forme di solidarietà che vennero dagli italiani verso gli ebrei perseguitati e braccati dai nazisti durante l’occupazione tedesca da Roma in su. E’ presente con gli italiani che hanno meritato il riconoscimento di Israele col titolo di “Giusti tra le Nazioni”. E’ presente con storie straordinarie, assai poco note, come quella – raccontata in un libro biografico apparso in italiano, con grande ritardo, solo l’anno scorso – della vita di pensiero e di azione di Enzo Sereni, trasferitosi poco più che ventenne in Eretz Israel, fattosi pioniere e messaggero nel mondo del futuro Stato di Israele, partito nel marzo 1944 per Bari nell’Italia già liberata e di lì fattosi paracadutare al Nord, dove fu catturato dai tedeschi e dopo mesi di terribili ed eroiche prove deportato e ucciso a Dachau.
Ma chiudo ora questa lunga digressione di carattere storico, che rimanda all’impegno sviluppato e da sviluppare per comprendere i termini di quei decenni “di ferro e di fuoco” del secolo che conobbe la barbarie della persecuzione antiebraica e della Shoah ; e vengo a più brevi parole di bilancio in senso più propriamente politico dell’impegno che ho condiviso con voi. Ritengo di poter dire che si sono in questi anni consolidati – nella coscienza democratica del nostro paese – alcuni fondamentali punti fermi. Innanzitutto, rifiuto intransigente e totale dell’antisemitismo in ogni suo travestimento ideologico come l’antisionismo : perché in giuoco non è solo il rispetto della religione, della tradizione storica, della cultura ebraica, ma insieme con esso, inscindibilmente, il riconoscimento delle ragioni spirituali e storiche della nascita dello Stato di Israele, e quindi del suo diritto all’esistenza e alla sicurezza.
Se questo è il punto fermo da non mettere mai in forse, ne discende l’altro, della distinzione da non annebbiare, tra solidarietà – da un lato – con la causa dello Stato di Israele contro ogni propaganda e minaccia di distruzione, comprese quelle che vengono dalla dirigenza iraniana, e – dall’altro lato – libertà di giudizio su linee di condotta e concrete evoluzioni delle forze politiche che sono chiamate via via a governare Israele. Giudizi critici che d’altronde si esprimono liberamente nel dibattito politico e di opinione in seno a Israele, non possono essere considerati ostili purché formulati con il rispetto dovuto a ogni governo legittimo di qualsiasi paese amico. L’essenziale è che essi non sfocino in posizioni equivoche circa la natura e il futuro di Israele come Stato, circa il suo ruolo indipendente nella regione mediorientale e nella comunità internazionale.
E’ alla luce di questa distinzione che l’Italia e l’Europa possono e debbono fare la loro parte perché si apra la strada della pace in Medioriente, con la soluzione del conflitto israelo-palestinese sulla base della collaborazione tra due popoli e due Stati. “Israele” – ha detto di recente Shimon Peres – “non ha un’opzione migliore, diversa dalla soluzione dei due Stati” …. I negoziati con i palestinesi [dopo il voto all’ONU] si sono fatti “forse non più complicati, in ogni caso più necessari”. Voglio qui condividere più in generale, ancora una volta, la visione che ha ispirato e continua a ispirare il mio collega Presidente israeliano, uomo che da decenni conosco da vicino, stimo e considero un autentico amico. Condivido la sua visione e la sua fiducia.
A tutti gli amici israeliani desidero dire : i “punti fermi” che ho ritenuto di poter ricordare come ormai consolidati nell’opinione e nella consapevolezza politica del paese, non conosceranno alcun affievolimento nel prossimo futuro; la loro continuità è garantita, anche nel naturale succedersi, come in ogni paese democratico, delle maggioranze parlamentari e dei governi.
Infine, rinnovo un caloroso apprezzamento alle ragazze e ai ragazzi, e nel loro insieme agli Istituti Scolastici, che si sono distinti nel concorso “I giovani ricordano la Shoah”. Negli interventi degli studenti qui abbiamo sentito vibrare le corde dell’emozione più sentita e profonda. E in generale per quel che, come ho detto, siamo riusciti a costruire sul terreno di una più ampia e partecipata presa di coscienza del significato della Shoah, e della lezione da trarne, dobbiamo molto a voi, dobbiamo molto alle generazioni più giovani, per come si sono venute impegnando con mente aperta, nuove sensibilità e confortante maturità. E dunque, grazie. E arrivederci.