di Luisa Bellomo
Fabio Geda, Nel mare ci sono i coccodrilli
La prima neve (2013)
Quando parte da una piccola cittadina dell’Afghanistan, Enaiat ha dieci anni, forse. Dove vive, a Nava, non c’è l’anagrafe, quindi non sa con certezza la sua età. Non c’è neanche la scuola, perché l’hanno chiusa i talebani. A detta sua, comunque, è il posto più bello del mondo. Non è abbastanza sicuro per lui, però, quindi un giorno parte, accompagnato dalla sua mamma e da un uomo, per andare in Pakistan. Non sa ancora che lo aspetta un viaggio lungo otto anni, per paesi di cui non conosce neanche l’esistenza.
Il sottotitolo di questo libro è “Storia vera di Enaiatollah Akbari”. Più di dieci anni dopo l’inizio del suo viaggio, l’ha potuto raccontare a un giornalista, Fabio Geda, che ci ha scritto un libro. Mentre Enaiat parla delle sue avventure, dei luoghi, delle persone che ha visto e incontrato, ho continuato a chiedermi se si rendesse conto dei rischi che correva e di quante volte abbia evitato la morte per un soffio.
A volte la narrazione si interrompe, e troviamo qualche frase in corsivo: è Fabio Geda che fa domande al giovane protagonista. In queste righe, sparse tra le pagine, ho trovato le parole più belle e le riflessioni più illuminanti, quelle che mi hanno fatto sentire piccola e inesperta.
Ho letto il libro in treno, andando all’università, e diverse volte mi sono trovata ad asciugare una lacrima di nascosto, con i vicini di posto che mi guardavano male. Siamo assuefatti dalle tante immagini di sofferenza che vediamo in tv e in internet, tanto che ormai non ci fanno più effetto. Questa storia invece colpisce direttamente al cuore, e tante volte anche alla pancia. Non è la storia di un ragazzo afgano che arriva in Italia clandestinamente, è la storia di Enaiat, che perde tutto ma non la speranza, che sa cogliere le occasioni che gli si presentano per caso, che soffre dolori che io non riesco neanche a immaginare ma va avanti lo stesso, anche grazie a tante persone buone.
Fa lo stesso effetto anche La prima neve, il film di Andrea Segre ambientato tra le montagne del Trentino. Segre è un regista di documentari, quindi è particolarmente bravo a raccontare storie vere. Questa è inventata, ma è fatta di tantissime storie reali e attuali: quelle dei giovani migranti africani che si ritrovano a vivere nei piccoli paesi trentini, lavorando come taglialegna per mettere da parte qualche soldo e poter andare in Francia. Questo però non è un film sui migranti. È un film su alcune persone, su padri, figli, mamme, amici, mogli e mariti, e ognuno ha la propria storia e i propri dolori. Mentre lo guardi non puoi fare a meno di pensare che a volte siamo più simili a chi viene da lontano che a chi vive con noi.
Per la visione vi do due consigli: munitevi di schermo grande, perché i paesaggi sono incredibili e meritano di essere ammirati come si deve, e attivate i sottotitoli, perché i ragazzi africani parlano in francese, ma i ragazzini parlano in dialetto trentino, e se non lo conoscete potrebbe diventare un problema!
Spero che amiate anche voi queste storie, ma soprattutto che vi aiutino a vedere gli altri, soprattutto i migranti, come persone con una storia da ascoltare.
«Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre». Carlo Mazzacurati