Questa è la storia di pochi articoli legislativi, una dozzina in tutto, usciti in fila dalla penna del ministro Maria Stella Gelmini nei complicati giorni del dopo finanziaria, quando, ingoiato il boccone amaro dell’art. 64 del decreto fiscale, quello che interviene pesantemente sulle risorse scolastiche, il giovane ministro della Repubblica ha insistito presso il Consiglio dei Ministri per poter presentare un disegno di legge sulla scuola tutto a sua firma. Una piccola enciclopedia della propria personalissima idea di istruzione condensata in pochi provvedimenti, riguardo diversi ambiti dello scibile scolastico. Ne è venuto fuori il ddl del 1 agosto, piombato di punto in bianco quest’estate sul mondo della scuola, convocato, tra associazioni studentesche, dei docenti e dei genitori (MSAC compreso), di tutta fretta e personalmente da Gelmini il giorno prima della presentazione del disegno di legge. La travagliata storia del dl 137, attualmente in discussione in Parlamento, comincia da qui. Provvedimenti circoscritti che, a ragione, lo stesso Ministro rifiuta categoricamente di chiamare “riforma”, secondo l’etichetta appioppata loro dalla pubblica opinione, riconoscendo che si tratta piuttosto di interventi che curano forse più gli effetti che le cause.
La magnifica dozzina originariamente compresa nel disegno di legge prevedeva, oltre al voto di condotta, la regolamentazione dei debiti formativi (la questione più scottante fino a quel momento), la nomina dei docenti direttamente da parte dei dirigenti scolastici (poi cassata/rimandata), fino a sincere buone intenzioni, poi omesse, nei confronti degli studenti, come gli incentivi alla ricerca e i provvedimenti per il diritto allo studio degli universitari. Non ultima la nuova materia “Cittadinanza e costituzione”, per la quale, nella sua ansia di far bene, forse un eccesso di zelo aveva spinto il legislatore ad indicare, oltre al monte orario di 33 ore, persino che “entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, è determinato il contenuto dell’insegnamento”. Uno scivolone che non teneva in conto il principio dell’autonomia didattica delle scuole e che infatti nelle successive rielaborazioni è saltato via, purtroppo insieme alle indicazioni orarie, lasciando il tutto un po’ nebuloso.
Quello che più disorienta del decreto Gelmini è certamente il metodo con il quale si è proceduto. Dall’iniziale disegno di legge, che avrebbe quindi previsto iter e tempi di discussione parlamentare standard per l’approvazione, si è passati entro la fine del mese ad un brusco ripensamento, ripresentando invece, in forma e tempi ridotti, una decretazione d’urgenza. Tra l’altro il 28 agosto, nell’ambito del Consiglio dei Ministri che approvava il dl, sparivano la maggior parte degli articoli; a sorpresa, invece, veniva aggiunta in extremis, su diretto suggerimento del Ministro Tremonti, che pochi giorni prima dal pulpito cartaceo delle pagine del Corriere ne aveva vaticinato la dottrina, la valutazione alle elementari e medie in numeri decimali, piuttosto che in giudizi, rivoluzionando l’algebra dell’educazione. L’epopea del dl 137 ha previsto ancora, nel corso del tragitto dal tavolo del CdM alla scrivania del Presidente della Repubblica per la firma definitiva, l’introduzione di un ulteriore provvedimento, quello del maestro prevalente, che ha scatenato la polemica più forte. Rivendicazioni sindacali e clamore dei pedagogisti hanno così sollevato il problema di un decreto che altrimenti sarebbe probabilmente passato inosservato, al massimo additato come la norma che gli studenti non vogliono per voto di condotta e grembiule (ma il benedetto grembiule, si controlli bene, nell’articolato non c’è). E’ questo l’elemento più preoccupante di tutta la vicenda, ovvero la profonda disinformazione intorno al provvedimento, che di fatto nasconde, complice il polverone mediatico che gli si è scatenato intorno, la vera portata di quella che forse a ragione può essere considerata la vera “riforma” della scuola, ovvero l’articolo 64 della legge finanziaria. Un capitolo del decreto fiscale dedicato all’istituzione scolastica che, oltre ai famosi tagli dei 143.000 organici nelle scuole, tra docenti e personale ATA, prevede un “piano di razionalizzazione” la cui definizione sta procedendo di pari passo a quella del dl. Innalzamento del numero di alunni per classe, accorpamento di indirizzi di studio e cattedre (le classi di concorso per l’abilitazione dei docenti), riduzione e riorganizzazione dei curricula orari per ogni ordine di studi, chiusura degli istituti sotto la soglia dei 300/500 studenti (prospettando così, nei piccoli centri, il probabile pendolarismo anche alle elementari) e tagli alla formazione serale per gli adulti, sono solo alcuni dei provvedimenti tirati in ballo. Un quadro che certamente non prospetta un futuro roseo per il mondo dell’istruzione e della formazione e che non sottrae la direzione ministeriale all’accusa di scarso o praticamente nullo investimento strategico nel settore della scuola e della ricerca. Tra l’altro rimane un cattivo segno di dialogo anche il fatto che questo decreto, pur di passare l’iter delle camere entro i tempi stabiliti (250 emendamenti raccolti solo tra i deputati), ha richiesto un maxiemendamento ed il voto di fiducia, confermando in questo modo la “cattiva condotta” dei suoi promotori. C’è dunque in ballo qualcosa di molto di più della ridicola questione dei grembiulini. A noi riaffermare con forza che rigore e competenza non li fanno scampoli di stoffa e i numeri sul registro. E incrociare le dita. Come per il resto.
pubblicato per “Segno”