Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della cerimonia di apertura dell’anno scolastico 2009/2010
Palazzo del Quirinale, 24 settembre 2009
Rivolgo innanzitutto un cordiale saluto alle autorità che sono oggi qui in rappresentanza del Governo e del Parlamento. Anche quest’anno saluto e ringrazio tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questa cerimonia, con il proprio lavoro e con la propria partecipazione. Un saluto speciale ai veri protagonisti dell’evento: ai ragazzi qui presenti, a quelli che ci seguono da lontano. Un saluto a tutto il mondo della scuola, con particolare affetto e fiducia agli insegnanti che sono il muro maestro della nostra scuola, ed egualmente ai tecnici, al personale non docente. E insieme un saluto alle famiglie degli alunni la cui partecipazione al progetto educativo dei figli e dei nipoti è essenziale.
In questa occasione, vorrei ricordare e ringraziare anche altre persone che lavorano per una buona scuola. Coloro che nel Ministero della Pubblica Istruzione, negli Uffici Scolastici regionali, negli assessorati di Regioni, Province e Comuni fanno funzionare la complessa macchina dell’istruzione, spesso aiutati da operatori del privato sociale, da studiosi di dipartimenti universitari e di centri di ricerca. In quest’area multiforme di istituzioni e di strutture operanti a tutti i livelli troviamo persone impegnate, creative, capaci di individuare problemi e proporre soluzioni nuove e socialmente utili. A questi silenziosi tessitori va la nostra gratitudine, e va il giusto sostegno e riconoscimento.
Quest’anno proprio sull’istruzione si sono puntati i riflettori. La crisi economica che stiamo attraversando ha suscitato accese discussioni in merito alle migliori strategie da seguire per superarla. Ci sono state e ci sono – come è normale – notevoli divergenze, ma su due punti si è registrato un riconoscimento praticamente unanime. Dalla crisi l’Italia deve uscire migliore di come vi è entrata, bisogna quindi guardare alle risorse – soprattutto intellettuali e politiche – su cui far leva per superare le ragioni di debolezza strutturale del nostro sistema economico e sociale, per renderne possibile una crescita più sostenuta che negli ultimi dieci anni. Un’importante ragione strutturale di debolezza – e questo è il secondo punto su cui si conviene – è costituita dall’insufficiente valorizzazione del nostro capitale umano. Le persone, i paesi non sono solo ricchi o poveri di risorse naturali o di capitali, sono anche – e questo è il fattore cruciale – ricchi o poveri di conoscenza e di attitudine a utilizzarla per affrontare situazioni, per risolvere problemi. La buona istruzione serve agli individui per lavorare con successo, e rendere quindi più ricchi se stessi e il proprio paese, e serve anche a vivere con intelligenza, a realizzare se stessi. E’ di recente scomparso Ralf Dahrendorf, un grande scienziato sociale politicamente impegnato, che sosteneva come la principale ragione per istruire i cittadini non fosse il fatto che ciò comporta evidenti vantaggi economici per il paese, ma il principio secondo cui “ogni essere umano, dovunque sia nato e di chiunque sia figlio, deve avere l’opportunità di sviluppare i propri talenti”. E’ quello che dice d’altronde l’articolo 2 della nostra Costituzione, quella “legge delle leggi” che, come ha ricordato il Ministro, è oggetto di specifico insegnamento nelle scuole : “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, dice la nostra Carta. E tra questi ostacoli il maggiore è forse proprio quello di un insufficiente livello di istruzione.
Ma l’Italia è purtroppo un paese in cui l’istruzione non è ancora abbastanza efficiente : quando confrontiamo le competenze acquisite a scuola dai ragazzi italiani con quelle dei coetanei dei paesi ad analogo livello di sviluppo in Europa e in Asia constatiamo nostre gravi carenze. Sappiamo da tempo che in questo campo c’è soprattutto da sanare un grave squilibrio tra Nord e Sud. Serve un’istruzione migliore, un’istruzione che valorizzi anche la matematica e le materie scientifiche, troppo trascurate nel nostro paese, come ci spiegherà Alberto Angela.
Dobbiamo certo osservare con soddisfazione che anche in matematica e nelle materie scientifiche siamo capaci di produrre eccellenze. In vari recenti concorsi internazionali di matematica i nostri studenti si sono piazzati molto bene, lo stesso vale per i giovani scienziati. Ma un’istruzione migliore non significa un’istruzione che produce solo eccellenze, perché senza un tessuto di competenze diffuse un paese non cresce né economicamente, né civilmente. Un’istruzione migliore non significa di certo neppure un’istruzione di elite, riservata a pochi. Un paese giusto è quel luogo in cui l’opportunità di un’istruzione di qualità è offerta anche ai figli delle famiglie meno abbienti, anche a coloro che studiano nelle zone meno ricche del territorio nazionale, in modo che tutti i ragazzi possano sperare di vivere meglio, di affermarsi nelle professioni, di contribuire in tal modo al benessere complessivo del paese.
Tuttavia, attenzione : né l’impegno dei poteri pubblici né gli sforzi di quanti operano nella scuola possono bastare, se non faranno la loro parte gli studenti. E’ stato questo il messaggio di recente rivolto agli studenti americani dal Presidente Obama per il primo giorno di scuola : e voglio citarne qualche passaggio significativo, perché ci mostra come si tratti di esigenze che non conoscono confini, che valgono per l’America come per l’Italia. “Ho parlato – ha detto agli studenti il Presidente Obama – della responsabilità dei vostri insegnanti, di quella dei vostri genitori, di quella del governo : ma in definitiva nulla basterà se voi non farete fronte alle vostre responsabilità. L’educazione vi dà l’opportunità di scoprire quel che di meglio avete in voi. E qualunque cosa vogliate fare nella vita, avrete bisogno di una buona educazione (…). So che talvolta la televisione vi dà l’impressione di poter diventare ricchi e avere successo senza lavorare duramente : magari a basket o in un reality show. Ma il vero successo è duro da raggiungere, richiede sforzi tenaci anche se non tutto quel che dovete studiare vi piace, e non tutti gli insegnanti vi piacciono”.
Che così stiano le cose, lo sanno bene alcuni dei partecipanti a questa cerimonia : i giovani scienziati e inventori, i diplomati con 100 e lode dell’Aquila che hanno continuato a studiare all’indomani di una tragedia e in condizioni difficili. Lo sanno i campioni delle Olimpiadi che si sottopongono ad allenamenti massacranti senza per questo abbandonare lo studio. Anche chi canta, chi fa parte di cori, come quelli presenti qui quest’anno, chi compone o suona musica, sa che per riuscire occorrono fatica, impegno, esercizio. Qualche successo effimero si può anche ottenere per caso, con compromessi o con l’inganno, ma solo il duro lavoro dà risultati duraturi, in tutti i campi. E solo quando non si lavora solo per se stessi si ottengono risultati appaganti : solo quando si lavora per la comunità, per il paese.
Quando dico “la comunità”, quando dico “il paese”, intendo la patria. E’ una parola, questa, che non bisogna esitare a pronunciare per paura di cadere nella retorica. No, non è stato retorica, nei giorni scorsi, il provare dolore, il commuoverci per i sei giovani militari italiani caduti in Afganistan, il rendere loro omaggio solenne, lo stringerci attorno alle loro famiglie così esemplari per forza d’animo e compostezza.
Quel che hanno significato per più generazioni di italiani la conquista e la riconquista del senso della patria, la faticosa, aspra realizzazione del grande sogno di uno Stato nazionale unitario, avrete modo di studiarlo – come ha detto il ministro Gelmini, e apprezzo molto questo suo impegno – in occasione del 150° anniversario dell’Unità.
Dando vita e sviluppo allo Stato nazionale unitario, l’Italia ha conquistato voce, peso, rispetto. Ma è importante ricordare, tutti noi, che un paese si fa rispettare se è rispettabile e se rispetta gli altri : se i suoi cittadini si comportano con senso del decoro, se non offendono chi è diverso da loro, le minoranze religiose, gli stranieri immigrati, gli omosessuali, chi ha una pelle di altro colore.
Non basta impegnarsi per affermarsi come individuo, questa è una ricetta di vita che alla lunga non è appagante. Siamo più felici quando lavoriamo anche per gli altri, magari sacrificando un po’ del nostro tempo, delle nostre ambizioni, delle nostre sicurezze. Tanti ragazzi italiani sono impegnati nel volontariato, e ancora di più la scuola può aprirsi al volontariato – lo ha sottolineato il Ministro Gelmini. A volte impegnarsi per gli altri significa anche assumere dei rischi, avere coraggio.
Sfidare condizioni difficili è quanto accade a chi si attiva per affermare la legalità, per il rispetto dei valori costituzionali, impegnandosi – anche da giovane o da giovanissimo – contro la criminalità organizzata. Su questi valori e per questi scopi si deve manifestare concordia nazionale, si deve avere più mobilitazione comune. E proprio di legalità parla qui oggi, con studenti della Calabria e del Veneto, il Procuratore Piero Grasso, che è stato ed è un autentico protagonista della lotta contro la mafia.
Ma serve anche il piccolo coraggio di tutti i giorni, difendere i ragazzi più deboli, quelli oggetto di scherno e di aggressioni, difendere le compagne di scuola da attenzioni che non gradiscono, da molestie inammissibili.
Insomma, impegno nello studio e impegno civile fanno tutt’uno. Mostriamocene consapevoli. Certo, capisco, questo richiamo all’impegno, al dovere, ai valori ideali e morali, può suonare fastidioso, predicatorio. Ma è un richiamo – ve lo posso assicurare – che vale non solo per voi, ma per tutti, che rivolgo a tutti, e in particolare a ciascuno di noi che rappresenta le istituzioni della Repubblica. E’ da noi che deve venire il buon esempio : avete il diritto di aspettarvi che l’esempio venga da noi, avete il diritto di chiedercelo.