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Polemica sulla Resistenza. Dove sta la cattiva fede?

In questi giorni assistiamo a voci discordanti riguardo alla presunta dimenticanza della voce “Resistenza” nella bozza delle linee guida per i nuovi licei. Le accuse di omissione volontaria sono state pesanti e c’è chi ha denunciato la censura della memoria, mentre al Ministero tentano la difesa scusandosi per la mancata esplicitazione. C’è anche chi sottolinea che la stessa presunta dimenticanza esiste pure nei programmi della scuola media, operativi già da molti anni dopo la riforma Moratti, eppure nessuno o se ne è mai accorto o ha mai denunciato la cosa.

Cari msacchini, desideriamo sapere quale sia il vostro pensiero al riguardo.

La storia è una cosa preziosissima (ne parlo con qualche cognizione di causa) ma si presta spesso da un lato a banalizzazioni e facili dimenticanze e dall’altro a forti strumentalizzazioni.

La Resistenza è uno di quei temi “tabù” per il quale c’è sempre una parte pronta ad appropriarsene, dichiarandosi sua unica o perlomeno privilegiata erede, e a dar battaglia a tutto il resto. Questa è una pericolosissima deriva anche per la memoria stessa, perchè la Resistenza non è roba degli uni o degli altri, ma pilastro su cui si è fondata la ricostruzione del nostro Paese ed il processo costituzionale. La Resistenza ha coinvolto tanti e tante parti politiche. é stupido a mio parere farne roba solo di alcuni e per questo sia cassarla colpevolmente mascherandosi dietro la dimenticanza sia farne un pretesto per violenti attacchi. Dove sta tra le due accuse la cattiva fede? Speriamo in nessuna, perchè la colpa della zizzania sarebbe un più grave delitto in un momento, come quello presente, in cui c’è un intero Paese che ha bisogno della collaborazione di tutti e, questo sì, possiamo dirlo, c’è la scuola italiana che va a pezzi a causa dei tagli finanziari e di affrettati riordini strutturali. Scervellarsi per capire se la Resistenza sia capitolo esplicito o implicito o volutamente cassato (cosa gravissima se fosse vera, ma sarà vera?) non ha molto senso quando nessuno si preoccupa del fatto che quello stesso periodo storico dovrebbe essere approfondito nell’ambito dei quadri orari di una materia, la Storia, che al liceo scientifico, musicale e linguistico “va in onda” solo tre ore a settimana, da dividere tra l’altro con la forzatamente collega geografia e la “sottointesa” educazione civica. Un’ora e mezza in totale, meno delle ore di ginnastica, o un po’ di più della religione cattolica se preferite: questo è di sicuro il modo migliore non solo per disonorare la memoria, ma per fallire in uno degli obiettivi fondamentali del sistema pubblico di istruzione e formazione, cioè l’educazione alla cittadinanza e ai valori della Repubblica!

Resistenza dimenticata… colpevoli? assolti? strumentalizzazioni? Preferiamo credere alla buona fede di ciascuno, per questa volta. Ma non ci saranno scuse se nessuno  farà molto di più di quello che ha fatto finora, anche nel proprio piccolo di scuola o associazione studentesca, per accompagnare la scuola italiana in questo difficilissimo periodo di transizione in cui studenti e professori stiamo rischiando molto, moltissimo. Nessuno avrà giustificazioni se la partita andrà persa. Noi compresi

C’è da scrivere il capitolo di storia odierna della scuola italiana. E c’è da salvarla. Tutti.

Eppur si può!

Ricordate la lettera di quel prof di informatica di Lecce pubblicata qualche tempo fa sul nostro blog? Ebbene, si trattava di una lettera aperta al Ministro Gelmini in cui l’istituto tecnico a cui apparteneva il professore chiedeva chiarimenti e provvedimenti in merito ai progetti di riforma dei tecnici, onde non comprimere eccessivamente i quadri orari di informatica, sacrificando così tanti progetti sperimentali cresciuti all’ombra dell’autonomia che avevano prodotto eccellenti risultati tra gli studenti e nel territorio. Oggi gli studenti e i docenti di quell’istituto gridano vittoria, perchè pare che le loro istanze siano state ascoltate. Un esempio del fatto che forse la macchina ministeriale delle riforme non è poi così impenetrabile e indifferente alle ragioni di chi la scuola la vive da dentro, tutti i giorni? Allora “battersi” per una scuola migliore si può, non è vera la frase “tanto non cambia nulla”? voi che ne pensate? e voi, come state reagendo alle novità introdotte dalla riforma della scuola? siete combattivi (propositivamente!) o rassegnati?

Dopo aver sollevato la questione a livello nazionale, giunge oggi la conferma

I docenti del Costa di Lecce l’hanno spuntata

INFORMATICA RESTA!!!

Un grande risultato per gli studenti, che continueranno a trarre benefici dall’eccellenza formativa sviluppata negli ultimi dieci anni dalla scuola salentina

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Se nessuno occupa mi preoccupo

Pubblichiamo qui un articolo apparso oggi sull’Unità che parla di mobilitazione studentesca. E voi studenti che ne pensate? Ci stiamo ad essere ritratti in questo modo?è aperto il dibattito!!!

È passata la stagione classica, e niente occupazioni scolastiche. Nessuno sembra essersene accorto, ma è un unicum: quest’anno è saltata la protesta studentesca. Il mondo della scuola viene tuttora animato da fermenti continui, ma è come se tutto si muovesse sotto traccia, dopo che il movimento dell’Onda è andato a infrangersi su un muro di indifferenza. Da quel momento la scuola sembra essere uscita dall’agenda politica nazionale. Secondo gli esperti di comunicazione è un problema che avrebbe stufato il grande pubblico. E in assenza di proteste eclatanti, non c’è motivo di occuparsene. Resta da spiegare perché allora Riccardo Iacona sbanca l’auditel proprio quando dedica una trasmissione alla scuola, rivelando per esempio che in Sicilia l’85% degli edifici scolastici non è in regola con le norme di abitabilità e agibilità.
E però qualcosa significa se proprio l’anno scolastico 2009/10 sarà ricordato come il primo da tempo immemorabile senza quel rito anche un po’ stracco che era la protesta studentesca d’autunno, pronta a rientrare in vista delle vacanze di Natale e poi degli scrutini. Dopo la sconfitta subita con la riforma Gelmini, il dissenso stenta a prendere corpo. La massa degli indifferenti prevale, almeno fino a quando i nodi verranno al pettine e i tagli toccheranno il portafoglio di insegnanti e genitori.
A voler essere ottimisti, però, non è detto che quest’anomala assenza di proteste studentesche non rappresenti un fatto positivo. In fondo l’occupazione d’istituto in novembre era solo un tafferuglio, e qui servirebbe la rivoluzione. Era la valvola di sfogo momentanea che consentiva di rimettere la pentola a pressione sul fuoco senza il pericolo che scoppiasse.
Adesso qualcuno ha pure tappato la valvola: vediamo che succede.

Milano parla della riforma…

da www.agensir.it

Più che un “progetto di riforma”, quello che si è appena concluso con le ultime disposizioni del ministro Gelmini è “un riordino della scuola italiana, con una riduzione di tempo-scuola e una semplificazione di percorsi per la secondaria, che lasciano però sussistere quattro diversi percorsi – tra loro poco comunicanti – per soddisfare l’obbligo scolastico e/o giungere al diploma”. E’ quanto si legge in un documento a cura dell’Azione Cattolica Ambrosiana, l’Aimc (Associazione italiana maestri cattolici) e l’Uciim (Unione cattolica italiana insegnanti medi) di Milano, che definisce la riforma scolastica “un riordino amministrativo dell’esistente, dettato da esigenze economiche”. “Punto fermo necessario”; comunque, ma “insufficiente”, perché “manca un’idea di fondo, un progetto nuovo, più ambizioso a livello culturale e didattico, almeno all’altezza dei valori sempre rimarcati dai progetti di legge via via emanati”. Una “lacuna”, questa, che per i firmatari del documento non è però attribuibile soltanto alla politica, quanto piuttosto al fatto che “manca nel nostro Paese un’attesa positiva e costruttiva riguardo ala scuola”, percepita da adulti e giovani “come una pratica da sbrigare, un male necessario, come le tasse, distante dai mondi vitali che ne motiverebbero l’esistenza”.

Se il” riordino” giunge al traguardo, è la tesi delle associazioni, “ora la parola passa alle scuole, alle famiglie, perché molto resta ancora da pensare e da fare”. Di qui la necessità di “ripartire seriamente dalla centralità della persona, pensata dentro una trama di relazioni sociali importanti, ragioni per le quali la scuola ha un valore strategico nella crescita di un Paese”. In un Paese, come il nostro, “divenuto multiculturale, multietnico, luogo di immigrazione dopo decenni di emigrazione, ottava potenza mondiale a livello economico” – si legge nel documento – “tornare a pensare a partire dal dato costituzionale è un compito possibile e necessario per dare anima alla scuola e per comprendere la sua decisività per formare giova i dialogici, capaci di convivenza in un contesto pluralista, democratico, europeista, capaci di abitare e di edificare una società realmente multiculturale, integrata, non impaurita, disponibile ad offrire a ciascuno pari opportunità di riuscita”. Raccogliere la “sfida educativa” significa inoltre far sì che i valori della Costituzione si traducano in “processi di cittadinanza attiva”. In ambito scolastico, infine, “urge il completamento della revisione degli organismi che governano sia le autonomie scolastiche che l’intero sistema d’istruzione e formazione, oltre che l’indicazione dell’iter di formazione dei docenti iniziale e in servizio.

L’importante è partecipare

Pubblicato sulla rivista “Enrico Medi”

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di Saretta Marotta -Segretaria nazionale MSAC
e Andrea Iurato – Segretario nazionale FUCI

A pensare agli ingredienti della formazione di un giovane viene in mente la fila di ampolline sulla mensola di Gargamella: letture, incontri, la scelta del gruppo da frequentare, la formazione religiosa, tutto in boccettine ciascuna con la propria etichetta sopra, da dosare con cura onde evitare che qualche sapore prevalga sugli altri, pena l’avere il giovane topo da biblioteca, o quello iper-relazionale, quello da sagrestia e quello secchione. La formazione dei giovani in realtà “campa” invece prevalentemente di luoghi. Sono i luoghi fisici, concreti, quelli che informano di sé la vita di ciascuno. Quei luoghi così radicalmente integrati nella nostra vita che, pur essendo sempre sotto il nostro naso, raramente ci accorgiamo di quanto ci trasformino. La nostra casa, ovvero la nostra famiglia, il lavoro che svolgiamo, l’attività che non solo occupa gran parte della nostra giornata e di tutti i nostri pensieri, ma costituisce praticamente la nostra identità. Essere studenti allora, dall’adolescenza al quarto di secolo, non significa semplicemente passare il tempo sui libri, ma abitare un luogo, una condizione. È una questione di identità, di vocazione, di consapevolezza del compito assegnato alla nostra vita per quel frammento di tempo, per quegli anni. È la scommessa che l’Azione Cattolica sogna per tutti i propri studenti, armandoli di una consapevolezza che li spinga a guardare il loro tempo e il loro “luogo” con occhi sapienziali, che sappiano discernere la differenza cristiana da portare tra i banchi di scuola. La sfida è lanciata già agli studenti delle scuole superiori, perché a 15, 16, 17 anni si può essere capaci di responsabilità e partecipazione. Responsabilità per i mille volti che a scuola incontriamo: i banchi sono laboratorio di relazione, tra compagni, coi professori, sono il ring su cui ci giochiamo i primi amori e pure gli scontri più duri; sono anche l’occasione per lasciare sul campo i compagni dei banchi dietro, quelli che abbiamo fatto “fuori” dalla nostra vita con i fendenti dell’indifferenza, del disinteresse, del “non è compito mio”, rimettendoci in bocca le parole di Caino “sono forse io custode di mio fratello?”. La “convivenza civile” di cui tanto ci parlano i programmi di educazione civica è allora incarnata in qualcosa di molto concreto, inesorabilmente tangibile e che interpella tutti. Come tutti ci coinvolge quella domanda di partecipazione di cui tante volte proprio sui banchi troviamo le tracce, magari graffiate sulla superficie con uniposca colorati a lasciare impronte di nomi, date, “segni” del nostro passaggio, Continua a leggere

Lettera aperta di un prof. sui tecnici

Avendo ricevuto preghiera di pubblicazione, postiamo qui, all’interno della rubrica “dico la mia” la lettera aperta al Ministro Gelmini del prof. Daniele Manni, dell’ITC Costa di Lecce

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Lettera aperta

Al Ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini

e per conoscenza

Al Direttore Generale per gli Ordinamenti Scolastici Mario Giacomo Dutto

Gent.mo Ministro Gelmini,

mi chiamo Daniele Manni, sono un docente di Informatica in servizio da 18 anni presso l’Istituto Tecnico Commerciale “Costa” di Lecce, e quanto Le sto per scrivere esprime, probabilmente, il pensiero di molti, se non di tutti, i miei colleghi in Italia che insegnano la mia materia nell’indirizzo “Programmatori” presso i Tecnici Commerciali.

Prendendo visione del riordino degli Istituti Tecnici non si può non constatare come sia stato eliminato del tutto nel Settore Economico l’indirizzo “Programmatori” (indirizzo in cui l’Informatica è una delle principali materie e che, tra l’altro, negli ultimi venti anni ha visto crescere esponenzialmente il numero degli iscritti, data la richiesta sul mercato della specifica figura uscente) e come dalle attuali 5 e 6 ore settimanali di Informatica si passerà a settembre, nel migliore dei casi, a solo 2 ore (per i primi quattro anni) e a 0 (zero) ore per il quinto anno.

Ora, volendo anche trascurare gli aspetti legati alla pura e semplice meraviglia sul perchè venga così drasticamente ridotto il monte ore di una materia talmente attuale e professionalizzante nell’ambito dell’istruzione tecnica ed in particolare Continua a leggere

Tetto al 30%

Invece di andar contro sistematicamente ad ogni cosa esca fuori dal palazzo in viale Trastevere, ogni tanto ci toccherebbe star zitti e zittire le polemiche, e mettere al lavoro il cervello.

Qualche tempo fa a proposito degli stranieri a scuola ci fu la proposta delle classi d’inserimento, presto chiamate le “classi ghetto”, che avrebbero dovuto convogliare tutti gli stranieri impossibilitati per barriera linguistica a seguire i programmi didattici delle “classi normali”. Anche noi ci siamo fortemente opposti a quella proposta (la mozione Cota), a nostro parere olezzante razzismo e poco lungimirante. La scuola italiana è famosa in Europa per il suo modello di integrazione degli stranieri, che non li vede separati dagli altri ma integrati nella classe, proprio per stimolare maggiormente gli alunni stessi ad un più veloce apprendimento della lingua ed a una migliore educazione alla convivenza interculturale.

Ora però si denuncia come razzistico anche il provvedimento Gelmini di prevedere un tetto massimo (del 30%) degli alunni stranieri in ciascuna classe. Riflettiamo.

Ci vuole equilibrio. se è interessante e stimolante la presenza multiculturale tra le mura di un’aula, questa non deve superare certe proporzioni, proprio perchè non venga superato quel limite per cui ai vantaggi si sostituiscono gli scompensi di una didattica sicuramente rallentata da problemi linguisitici e di integrazione che altrimenti si porrebbero in minor misura.

Ancora una considerazione. In Italia ci sono moltissimi esempi di scuole virtuose, in cui fortissima è la presenza straniera proprio per ottimi modelli di didattica integrata, ricezione della diversità, dialogo interculturale e multilinguistico. Altre, molte altre purtroppo, su questo piano sono molto indietro. Ma cosa accadrebbe se, per un normale meccanismo del passaparola, in quelle scuole si concentrasse la presenza straniera sgravando le altre, deresponsabilizzandole da compiti che comunque dovrebbero assumere? Le scuole virtuose finirebbero per non esserlo più, a causa della rottura del virtuosismo degli equilibri. Al contrario le scuole pigre si atrofizzerebbero nella loro incapacità di recepire la presenza di alunni stranieri. Le prime allora diventerebbero sì scuole ghetto. E pensate al rischio , senza un tetto alla presenza di stranieri, che nei singoli istituti si formino per prassi naturale “classi ghetto”, in cui mozione Cota o no, verrebbero concentrati tutti i “didatticamente indesiderabili”

E’ giusto allora prevedere dei limiti, delle proporzioni.

Ma… come è buona norma per tutto ciò che di umano si trova sotto il sole, “cum grano salis”.

La soglia del 30% non deve diventare un vincolo più dannoso del rischio che vuole evitare. Non si può pensare, per esigenze di percentuale, che degli alunni stranieri vengano sbattuti di istituto in istituto, a kilometri di distanza, per la burocrazia della norma. Vanno pensate e regolamentate le eccezioni, che ogni buona norma deve avere. Elasticità sia il criterio d’ispirazione per tutti

voi che ne dite?

Il MSAC di Lodi sui crocifissi

Abbiamo chiesto al MSAC di Lodi per la nostra newsletter msacchina P&D express di scrivere un articolo sulla questione dei crocifissi a scuola. Lo pubblichiamo qui ringraziando l’equipe diocesana di Lodi per il suo splendido contributo. Ancora buon 2010 a tutti!!!

Sono passati due mesi dal 3 novembre, data in cui la Corte europea per i diritti dell’uomo ha deliberato che la presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce una inadempienza «del diritto per i genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni» nonché «una violazione alla libertà di religione degli alunni stessi». Una sentenza bollata come “scioccante” in gran parte d’Italia, dato che nel nostro paese il crocefisso è appeso in ogni aula, come in ogni altro edifico pubblico, dal lontano 1924. Già in altre occasioni non sono mancati tentativi di rendere nulla quella legge promulgata in piena era fascista, ma la croce ha sempre mantenuto il suo posto nelle aule scolastiche fino a quando una signora italiana di origine finlandese, atea, non ha chiesto che nella scuola di Abano Terme (Padova) frequentata dai suoi due figli il crocefisso venisse rimosso. In attesa dell’appello (lo stesso Ministero dell’Istruzione italiano ha fatto ricorso contro la sentenza), il crocefisso resta ancora sui muri delle nostre scuole, ma per quanto ancora non possiamo saperlo. Possiamo però riflettere su questa decisione, e sulle decine di interventi che il dibattito ha scatenato con forza nel nostro Paese.

È quello che abbiamo fatto nell’èquipe del nostro circolo lodigiano del MSAC, composta da sette studenti delle superiori, cinque studenti universitari e un sacerdote, e il risultato è l’articolo che ora state leggendo. Continua a leggere

Cosa ne facciamo della scuola italiana?

intervista apparsa su

Cosa ne facciamo della scuola italiana?

La scuola resta una delle priorità irrinunciabili per la vita e per il futuro del nostro Paese, ma troppo spesso il dibattito politico dimentica il vero cuore del problema, cioè la questione educativa e riduce ogni tentativo di riforma del sistema dell’istruzione a una mera questione economica e ai tagli di spesa. Alcune riflessioni sulla direzione da prendere.

ALLE PAGINE 6-7

Aria di novità per la scuola superiore italiana. Dopo gli interventi sulla scuola primaria e secondaria di primo grado, con l’arrivo dell’autunno sono alle porte anche interventi sull’assetto della scuola superiore di secondo grado. Per chiarire i termini esatti delle proposte, ci siamo rivolti a Saretta Marotta, segretaria nazionale del Movimento studenti di Azione Cattolica.

Che clima si respira nelle scuole superiori alla ripresa dell’anno scolastico?

Ristrutturazione. Come quando sei a casa tua, ma in un alloggio in affitto, e il padrone di casa decide di dare una “rinfrescata”. A te tocca subire cocci, polvere e lo stato perenne di lavori in corso, mentre cerchi di condurre l’ordinarietà della tua vita quotidiana. Già, perché ci troviamo nel bel mezzo di questi lavori. Da una parte gli ormai lontani annunci di riforma dell’estate 2008. Dall’altra, è ancora lontano l’assetto definitivo che la nostra scuola italiana dovrebbe assumere entro il triennio di “razionalizzazione finanziaria”, che termina con il 2012.

In concreto, cosa è cambiato?

C’è la nuova valutazione, con la risoluzione delle questioni sull’ammissione agli esami di Stato (in caso di insufficienze, i docenti voteranno a maggioranza). E c’è anche l’aumento di alunni per classe, nonché il taglio dei docenti, obbligati tra l’altro a cattedre “complete” di 18 ore, inducendo così gli istituti a complicazioni dell’orario. Molti decreti non sono invece ancora operativi. Molti studenti, tra l’altro, sanno già che l’istituto che stanno frequentando cambierà faccia e persino nome l’anno prossimo. Ci saranno infatti sei licei (artistico, classico, scientifico, musicale e coreutico, delle scienze umane, linguistico), due indirizzi di istituti tecnici (economico e tecnologico) e due per gli istituti professionali (area dei servizi e indirizzo industriale). E gli studenti che faranno? Si adegueranno o continueranno col vecchio curricolo e i vecchi piani orari? Il ministero si è affrettato ad assicurare che “in qualche modo si farà”.

Insomma, ci aspettano nuovi correttivi…

Qualcosa di simile è successo a proposito del “maestro unico”: davanti alle proteste e alle diffidenze generalizzate, si è deciso di lasciare ai genitori la scelta tra tre diversi “carnet” di orario per i propri figli, con diverse combinazioni tra “maestri prevalenti” e altri docenti. Tutte queste eccezioni, però, vanno nella direzione opposta a quella della tanto invocata razionalizzazione, che sembra essere la finalità complessiva della riforma. La scuola italiana ha certamente bisogno di usare meglio le risorse, ma non si è però riflettuto abbastanza sulle conseguenze pedagogiche di tanti provvedimenti. Sono state approntate commissioni ministeriali di esperti, ma esse sono state costrette a lavorare tra fretta e incertezza.

Quali sono le conseguenze per chi vive nella scuola ogni giorno?

C’è da chiedersi innanzitutto se questa riforma “durerà” o se sarà presto demolita dalla prossima maggioranza di governo. Questo genera incertezza, soprattutto negli insegnanti (molti dei quali sono andati in prepensionamento). Non è possibile sentir propria una scuola così, sentirla come casa. A lungo andare cresce la disaffezione. Lo vediamo soprattutto per il mestiere di insegnante, talmente svalutato da essere considerato di “ripiego”. È ormai raro trovare dei veri “appassionati”: molti, tra sbarramento di graduatorie e complicate procedure di arruolamento, rinunciano per necessità. Fenomeni come il bullismo o lo scarso rendimento scolastico, poi, dicono la disillusione dei giovani, che non vedono più nella scuola un punto di riferimento formativo, ma solo una macchina che produce voti e promozioni, in cui devi correre verso la conquista del diploma come fosse una patente.

Quale riforma serve davvero alla scuola italiana?

Deve essere una riforma “organica”, ben pensata trasversalmente da maggioranza e opposizione (proprio per durare). Può guardare alle necessità di razionalizzazione, ma deve mettere al centro l’educazione dei suoi studenti, non quantificabile col parametro del “successo formativo” o del voto in decimali. Finché la scuola italiana non intraprenderà un ripensamento globale della sua missione formativa, procederemo sempre a tentoni. A questo proposito i nostri vescovi hanno proprio colto nel segno indicendo un decennio avente per tema l’educazione: un vero segnale, per tutti.

L’Azione Cattolica cos’ha da dire al riguardo?

All’interno dell’associazione, il Movimento studenti di Ac è stato interpellato da parte di Parlamento e ministero a pronunciarsi sulle riforme in atto. E lo fa molto criticamente, in senso costruttivo. Ma la nostra prospettiva non può bastare. A scuola non ci sono solo gli studenti: vi gravitano docenti, ma soprattutto (e tante volte li sottovalutiamo) i genitori e le famiglie. La nostra associazione ci regala l’occasione di mettere insieme queste forze. In questo senso, dividersi fa male. Non può esserci una “manifestazione degli studenti” o uno “sciopero dei docenti” senza che le altre parti in siano partecipi.

Manifestare insieme, e poi?

Le manifestazioni sono il luogo dell’urlo, non del dialogo. Hanno un valore simbolico, ma la prassi costruttiva comincia su altri tavoli, su altri terreni di confronto. Bisogna alzare la voce per farsi sentire, ma poi avere propositività da raccontare. Nel concreto delle nostre scuole, significa che studenti, docenti e genitori devono mettersi insieme, acquistare insieme consapevolezza dei cambiamenti in atto e collaborare perché le cose siano meno difficili e venga garantita la qualità dell’offerta formativa. È questo il senso vero della “comunità educante” che troviamo a scuola. Da questa storia nessuno si senta escluso.

a cura di Giacomo Cossa

“Sono i giovani i crocifissi da difendere”

di don Luigi Ciotti

I crocifissi da difendere, quelli veri, non sono quelli appesi ai muri delle scuole. Sono altri. Sono uomini e donne che fanno fatica. Che non ce la fanno e muoiono di stenti. E’ verso di loro che non possiamo e non dobbiamo restare indifferenti. E’ verso di loro che dobbiamo concentrare i nostri sforzi.

«Un crocifisso è un malato di Aids, che ha bisogno di cure e di sostegno. Un crocifisso è quel ragazzo brasiliano che è morto qualche giorno fa a Torino. A casa aveva lasciato la moglie e i figli, era arrivato qui alla ricerca di un lavoro, e non ce l’ha fatta».

Abbiamo partecipato al suo funerale. C’erano tante persone, molte nemmeno lo conoscevano, ma erano lì ugualmente, a condividerne la sofferenza e il dolore.
«E’ giusto lottare per difendere i simboli di quello in cui crediamo, ma allo stesso tempo bisognare stare molto attenti a non cedere al puro idealismo. Lo dice il Vangelo stesso: i pezzetti di Dio sono sparsi nel mondo che ci circonda. Li troviamo ovunque. Nel concreto, nella vita di tutti i giorni, tra le persone che vivono accanto a noi, e di cui spesso nemmeno ci accorgiamo dell’esistenza. E’ con queste realtà che dobbiamo imparare ad avere a che fare e a misurarci.
«Bisogna imparare a vivere con corresponsabilità, come i tanti e tanti volontari che dedicano il proprio tempo a un bene che non è esclusivamente loro, ma pubblico, di tutti quanti. Dobbiamo sentirci tutti chiamati in causa, nei grandi nuclei urbani come nei tanti piccoli paesi di provincia. La partecipazione è il primo passo in favore dei più deboli.
«I crocifissi non si difendono soltanto con le parole. Infatti queste troppe volte non bastano. Bisogna imparare ad affrontare la realtà con concretezza, e tendere la mano alle persone sole, a chi non ha più una famiglia e a chi non può ricorrere all’aiuto dei propri cari».

da “La Stampa”, 11/11/2009