Riportiamo l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul Corriere della Sera del 13 ottobre. Buona lettura!!
Scuola, i riformisti del no
di Ernesto Galli Della Loggia
Che cosa realmente sanno della scuola, della causa per cui protestavano, gli studenti che l’altro giorno hanno affollato le vie e le piazze d’Italia? Probabilmente solo che il potere, cattivo per definizione (figuriamoci poi se è di destra!), vuole fare dei «tagli», termine altrettanto sgradevole per definizione, e imporre regole limitatrici della precedente libertà (grembiule, valore del voto di condotta), dunque sgradevoli anch’esse. Sapevano, sanno solo questo, non per colpa loro ma perché ormai da tempo in Italia, nel dibattito tra maggioranza e minoranza, e di conseguenza nel discorso pubblico, la realtà, i dati, non riescono ad avere alcun peso, dal momento che su di essi sembra lecito dire tutto e il contrario di tutto. Nulla è vero e nulla è falso, contano solo le opinioni e i fatti meno di zero.
Esemplare di questo disprezzo per la realtà continua a essere il dibattito sulla scuola. C’è un ministro, Mariastella Gelmini, che dice che la scuola italiana non funziona. Porta delle cifre: sul numero eccessivo d’insegnanti, sull’eccessiva percentuale assorbita dagli stipendi rispetto al bilancio complessivo, sui risultati modesti degli studenti, sulla discutibile organizzazione della scuola nel Mezzogiorno; evoca poi fenomeni sotto gli occhi di tutti: l’allentamento della disciplina, gli episodi di vero e proprio teppismo nelle aule scolastiche. E alla fine fa delle proposte. Discutibilissime naturalmente, ma la caratteristica singolare dell’Italia è che nessuno, e men che meno l’opposizione, men che meno il sindacato della scuola che pure si prepara a uno sciopero generale di protesta, sembra interessato a discutere di niente. Né dell’analisi né di possibili rimedi alternativi a quelli proposti.
Cosa pensa ad esempio dei dati presentati dal ministro Gelmini il ministro ombra dell’istruzione del Pd, la senatrice Garavaglia? Sono veri? Sono falsi? E cosa indicano a suo giudizio? Che la scuola italiana funziona bene o che funziona male? E se è così, lei e il suo partito che cosa propongono? Non lo sappiamo, e bisogna ammettere che per delle forze politiche e sindacali che si richiamano con forza al riformismo si tratta di un atteggiamento non poco contraddittorio. Riformismo, infatti, dovrebbe significare prima di tutto la consapevolezza di che cosa va cambiato, e poi, di conseguenza, la capacità di indicare i cambiamenti del caso: le riforme appunto. Non significa dire solo no alle riforme altrui, e basta. Infatti, alla fine, dato il silenzio circa qualsiasi misura nel merito, l’unica proposta che rimane sul tappeto da parte del Partito democratico e del sindacato appare essere virtualmente solo quella di lasciare le cose come stanno. Naturalmente nessuno si prende la responsabilità di dirlo esplicitamente, ma ancor meno nessuno osa esprimere il minimo suggerimento concreto.
In realtà, a proposito della scuola una proposta precisa è stata ed è avanzata di continuo dall’opposizione politico-sindacale. Alla scuola — ci viene detto — servono più soldi (nel discorso pubblico italiano, di qualsiasi cosa si tratti, servono sempre o «ben altro» o «più soldi»). Insomma, la colpa del malfunzionamento della scuola starebbe nelle poche risorse di cui essa dispone: ciò che almeno serve politicamente a rendere ancor più deplorevole la recente decisione del ministro del Tesoro di togliergliene delle altre. Peccato però che pure in questo caso, per dirla con le parole di uno studioso che non milita certo nel campo della destra, Carlo Trigilia, sul Sole-24 ore di martedì scorso, dall’opposizione «non è stata elaborata alcuna proposta di manovra finanziaria che spiegasse se e come era possibile coniugare rigore finanziario e scelte concrete diverse da quelle del governo». Dunque neppure sul come e dove trovare quei benedetti soldi l’opinione pubblica ha la minima indicazione su cui discutere, su cui fare confronti e alla fine farsi un’idea.
Questo non tenere conto dei fatti, dei dati concreti, questo continuo scansare la realtà, finiscono così per diventare uno dei principali alimenti della diffusa ineducazione politica degli italiani. Nel caso della scuola contribuiscono a far credere a tanti, a tanti insegnanti, a tanti studenti, di vivere in un Paese governato da ministri sadici, nemici dell’istruzione, che chissà perché rifiutano di distribuire risorse che invece ci sono; contribuisce a far credere a tante scuole, a tante Università, che i problemi possono risolversi con la messa in scena spettrale — più o meno per il quarantesimo anno consecutivo! — dell’ennesimo corteo, dell’ennesima «okkupazione».
Corriere della Sera, 13 ottobre 2008
Concordo con l’autore di questa di analisi sul fatto che l’informazione manchi e che ,anche se lui non l’ha detto, che quella che c’è è inadeguata e insoddisfacente:si masticano, anche a livello di fior fior di penne e lingue, le solite trite annotazioni che contribuiscono ad aggravare la situazione di completa ignoranza, anzi, di ignoranza aggravata e, questa volta, colposa vista la fonte che dovrebbe esser capace di documentarsi e capace di una elaborazione adeguata a ritrasmettere ciò che sa. Penso infatti che gli organi addetti all’INFORMAZIONE questo dovrebbero fare, non saltare già alle conclusioni impostando i loro SERVIZI in funzione politica. Da chi si saprebbero le notizie? O direttamente di persona o da enti preposti a farlo. ETICAMENTE. Si sbandiera questa etichetta di un abito da indossare come fosse quella di un paio di mutande:sì, mutande rotte quali sono tutte quelle che hanno percorso nei mari, non tanto dell’ECONOMIA (invito a ristudiarsi il significato reale ed originario di economia, anch’esso ha subito lifting per cui lo si scambia con finaza e per capitale e le “sue” leggi) ma della capitale necessità di non perdere PUNTI E VOTI in certi settori a svantaggio di altri, con scarsa capacità di lungimiranza. Frodante è ogni analisi se l’obiettivo che si propone non è il benessere della collettività (e non intendo singola nazione, non è più tempo per questi inutili campanilismi) ma solo quello settoriale ora di questo ora di quello:persone fisiche temporanee,sempre e comunque,vedasi i continui crack cui abbiamo assistito e a cui assistiamo ancora oggi.
La collettività si forma nelle aule in cui viene ripercorsa la storia degli ERRORI UMANI, molto più numerosi delle conquiste, in cui la fortuna, il caso o lo scambio del dialogo hanno contribuito più di ogni altro pensiero teorico isolato ad indicare la via.La scuola ha in sé le capacità per analizzare e proporre ciò che costituisce il bene, non in senso di consumo,quella è una mera applicazione della ricerca, della collettività, può guardare al futuro e non demagogicamente, ma appunto partendo da ciò che è stato fatto, modificandone i percorsi là dove si incontri l’ERRORE: il maggiore maestro che si è avuto a disposizione in ogni epoca. Qui invece si continua ad errare:si va a destra e sinistra e al centro come ciechi e sordi e muti, l’unica parola :eco-nomia,in cui il rimbalzare dei nomi come una balbuzie sulle vuote pro-poste mina solo un ritornello a ciò che già si è visto.STUDIO allora, proponendo i legami e le aperture, le connessioni, le agevolazioni, non i tagli, affinchè questo studio sia prolifico, non si può continuamente pensare che l’inquinamento si blocchi perchè ci si ferma un po’ qui e un po’ là, e,ovviamente, non mi riferisco solo a quello dell’aria.Non ho mai visto in vita mia che tagliando all’impazzata le radici buone di un abero questo si fortifichi e fruttifichi.
In fede,fernanda ferraresso