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“Sono i giovani i crocifissi da difendere”

di don Luigi Ciotti

I crocifissi da difendere, quelli veri, non sono quelli appesi ai muri delle scuole. Sono altri. Sono uomini e donne che fanno fatica. Che non ce la fanno e muoiono di stenti. E’ verso di loro che non possiamo e non dobbiamo restare indifferenti. E’ verso di loro che dobbiamo concentrare i nostri sforzi.

«Un crocifisso è un malato di Aids, che ha bisogno di cure e di sostegno. Un crocifisso è quel ragazzo brasiliano che è morto qualche giorno fa a Torino. A casa aveva lasciato la moglie e i figli, era arrivato qui alla ricerca di un lavoro, e non ce l’ha fatta».

Abbiamo partecipato al suo funerale. C’erano tante persone, molte nemmeno lo conoscevano, ma erano lì ugualmente, a condividerne la sofferenza e il dolore.
«E’ giusto lottare per difendere i simboli di quello in cui crediamo, ma allo stesso tempo bisognare stare molto attenti a non cedere al puro idealismo. Lo dice il Vangelo stesso: i pezzetti di Dio sono sparsi nel mondo che ci circonda. Li troviamo ovunque. Nel concreto, nella vita di tutti i giorni, tra le persone che vivono accanto a noi, e di cui spesso nemmeno ci accorgiamo dell’esistenza. E’ con queste realtà che dobbiamo imparare ad avere a che fare e a misurarci.
«Bisogna imparare a vivere con corresponsabilità, come i tanti e tanti volontari che dedicano il proprio tempo a un bene che non è esclusivamente loro, ma pubblico, di tutti quanti. Dobbiamo sentirci tutti chiamati in causa, nei grandi nuclei urbani come nei tanti piccoli paesi di provincia. La partecipazione è il primo passo in favore dei più deboli.
«I crocifissi non si difendono soltanto con le parole. Infatti queste troppe volte non bastano. Bisogna imparare ad affrontare la realtà con concretezza, e tendere la mano alle persone sole, a chi non ha più una famiglia e a chi non può ricorrere all’aiuto dei propri cari».

da “La Stampa”, 11/11/2009

Corte di Strasburgo: “No al crocefisso nelle aule”

La Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Coe) ha emesso oggi la sentenza sulla legittimità della presenza del crocefisso nelle aule scolastiche dopo il ricorso di una signora italiana. La Corte ha sentenziato che «la presenza del crocefisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso. Avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione». Tutto questo, prosegue la sentenza, «potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose o sono atei». Ancora, la Corte afferma che «non è in grado di comprendere come l’esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana».

Il commento più significativo alla sentenza della Corte di Strasburgo è stato quello Conferenza Episcopale Italiana, che dal suo sito esprime “amarezza e non poche perplessità, fatto salvo il necessario approfondimento delle motivazioni, in base a una prima lettura, sembra possibile rilevare il sopravvento di una visione parziale e ideologica. Risulta ignorato o trascurato il molteplice significato del crocifisso, che non è solo simbolo religioso ma anche segno culturale. Non si tiene conto del fatto che, in realtà, nell’esperienza italiana l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici è in linea con il riconoscimento dei principi del cattolicesimo come ‘parte del patrimonio storico del popolo italiano’, ribadito dal Concordato del 1984“. La Cei sempre sul suo sito nota che “in tal modo, si rischia di separare artificiosamente l’identità nazionale dalle sue matrici spirituali e culturali“, e cita in modo eloquente le parole del papa, Benedetto XVI, il quale, un po’ di tempo fa, aveva affermato che “non è certo espressione di laicità, ma sua degenerazione in laicismo, l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione; alla presenza, in particolare, di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche“.

Il ministro della Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini, ha annunciato, mediante una nota ufficiale, che «il governo ha presentato ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo».

Si registrano però anche commenti molto positivi, come quello dell’Unione degli studenti, associazione studentesca appartenente al Forum  delle Associazioni maggiormente rappresentative presso il Ministero, che afferma: “da sempre chiediamo una scuola plurale, democratica, laica e interculturale, che non ostacoli la libertà di scelta religiosa e la sensibilità degli studenti- spiegano gli studenti dall’Uds- sono questi i principi che devono caratterizzare le nostre scuole e riteniamo che anche il Governo e le forze politiche debbano agire in questa direzione perché si parta proprio dai luoghi della cultura e dell’educazione per raggiungere un costruttivo dialogo tra le varie culture e le varie fedi, in primo luogo tra i cittadini europei“.

E voi che ne pensate??

Se la scuola viene presidiata…

In alcune città (soprattutto le più grandi) avviene già da un po’ di tempo ma ogni volta che viene proposta questa iniziativa le proteste (degli studenti, principalmente) non mancano; stiamo parlando della proposta di alcune amministrazioni provinciali di far presidiare gli ingressi delle scuole superiori da pattuglie di poliziotti. L’ultima provincia che ha deciso di intraprendere questa iniziativa è stata la Provincia di Venezia che ha deciso di sposare la proposta della “neo” Presidente, Francesca Zacariotto (Lega Nord).

Da lunedì, davanti a 5 cittadelle scolastiche inizierà la sperimentazione di presidio degli ingressi delle scuole da parte di dieci pattuglie della Polizia Provinciale.

«Le macchine transiteranno a passo d’uomo davanti agli istituti per far capi re ai ragazzi che l’istituzione c’è ed è presente», ha spiegato l’as­sessore alla Polizia della Provincia di Venezia. Spaccio, bullismo e comportamento stradale irresponsabile dei ragazzi (in particolare con i motorini), nei primi giorni di sperimentazione il personale della polizia provinciale dovrà infatti osservare tutto questo per completare poi una mappatura delle zone controllate identificando le aree di maggiore rischio e i punti di maggiore afflusso de gli studenti.

Quindi lo scopo dell’iniziativa vorrebbe essere quello di contrastare i fenomeni di spaccio, bullismo e guida irresponsabile sulle strade ma, sinceramente, non sappiamo se realmente questa iniziativa (e tutte le altre portate avanti dalle diverse amministrazioni provinciali su tutto il territorio nazionale) porteranno il loro frutto: staremo a vedere ovviamente sperando in un esito positivo di tutte queste inziative!

Nel frattempo vi chiediamo di raccontarci esperienze simili: anche davanti alle vostre scuole c’è il presidio della polizia? a che scopo? siete d’accordo con queste iniziative? Si, no, perché? Attendiamo riscontri come sempre!

Ancora Bullismo

Questa mattina, leggendo i giornali, sono rimasto davvero sconcertato: ancora una volta un episodio di bullismo nelle scuole italiane… L’episodio è avvenuto nella stessa scuola (l’istituto torinese “Albe Steiner”) dove, nel 2006, fu filmata l’aggressione a un ragazzo disabile e che fece tanto scalpore… L’unica vera differenza è che in questo caso l’episodio si è verificato in una succursale dello stesso istituto.

Questa volta a farne le spese è stato un ragazzo tredicenne, marchiato a fuoco, da due compagni di classe quattordicenni, sul braccio destro con una penna sulla quale era stato messo un pezzo di ferro rovente a forma di “M”.

Il tredicenne, vittima dell’episodio, ha raccontato all’autorità giudiziaria, di essere stato avvicinato da due compagni durante la mattinata e questi, senza alcun motivo particolare, lo hanno marchiato procurandogli sul braccio ustioni di secondo grado.

Il ragazzino, secondo i medici, guarirà in 20 giorni ma molto probabilmente dovrà essere operato da un chirurgo plastico. I due bulli, a seguito della denuncia presentata dai genitori del ragazzino,  sono stati denunciati per lesioni aggravate alla procura dei minori.

Ora però mi domando: sono servite a qualcosa le iniziative del Ministro Fioroni e del Ministro Gelmini? Il primo ha reintrodotto la possibilità di bocciatura per ragazzi sospesi perché coinvolti in episodi di bullismo (iniziativa portata avanti proprio a seguito dell’aggressione al ragazzo disabile nella stessa scuola torinese), mentre la Gelmini ha reintrodotto il valore per il voto di condotta con annessa bocciatura nel caso in cui la valutazione in condotta sia inferiore a 6/10…

A mio modesto parere, queste iniziative non sono servite quasi a nulla… Che fare allora?

Dibattito sull’ora di religione islamica

carissimi,

come avrete letto in questi giorni sui giornali o avrete sentito in tv, ha fatto discutere (e non poco…) la proposta/decisione di introdurre l’insegnamento dell’ora di religione islamica per i ragazzi musulmani nelle scuole italiane…

In contemporanea, nel comune di Roma l’Assessore all’Istrzuzione, Laura Marsilio (PdL), ha deciso di introdurre un’ora aggiuntiva, nelle scuole romane, sulle altre religioni. Su quest’ultima iniziativa il Msac ha rilasciato una dichiarazione all’Ansa e riportata ieri, 20 ottobre, su “La Stampa”, che trovate al post precedente

Vi riportiamo qui di seguito un’interessante analisi di Alberto Melloni, professore ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università di Modena-Reggio Emilia, e segretario della Fondazione per le scienze religiose “Giovanni XXIII” di Bologna (quella fondata da Alberigo e Dossetti) pubblicata sul Corriere della Sera di ieri, in modo da incentivare il dibattito su tale argomento! Attendiamo trepidanti i vostri pareri a riguardo!

Le lezioni di religione? con il modello attuale non si impara nulla

Nella discussione di questi giorni sulla proposta di fornire a scuola agli scolari musulmani una ora di «religione islamica», parallela a quella di «religione cattolica» abbiamo visto all’ opera una serie di caricature: dell’ una dell’ altra, dei beneficiari attuali e possibili. Il perché è presto detto: perché gli strumenti con cui si legge la storia religiosa dell’ Europa e del Mediterraneo sono quanto mai rozzi e spuntati dall’ ideologismo. Il mutato paesaggio religioso dell’ Europa di oggi è solo l’ ultimo di una serie di mutamenti che hanno modificato in profondità la condizione delle comunità religiose – ebrei, ortodossi greci e slavi, cattolici, anglicani, evangelici, riformati, musulmani. La concorrenza dell’ agnosticismo e dell’ ateismo, la Shoah, l’ incorporazione di chiese per secoli in lotta nello spazio comune dell’ Unione, non sono stati fenomeni di scarsa portata. L’ immigrazione che ha trasformato le religioni praticate dai sudditi delle colonie in fedi di concittadini arriva solo ultima e non è la più drammatica. In questo paesaggio mobile la trasmissione delle conoscenze sul fatto religioso e la trasmissione della fede è passata per tante vie: il sapere universitario, la ricerca, l’ editoria, la catechesi, la scuola. In Italia l’ ora di religione s’ è collocata a mezza via: passata da strumento di discriminazione a insegnamento opzionale, quell’ ora non ha portato bene alla fede cristiana e alla cultura religiosa. In anni di insegnamento i ragazzi italiani non imparano nulla da insegnanti di toccante bontà e scarsa cultura teologica. Dopo tanto sforzo l’ ignoranza della Bibbia, della storia cristiana, delle dottrine, della spiritualità è in Italia così abissale da debordare nei quiz, dove le domande in questa materia si rivelano impervie per tutti. Non so se l’ episcopato ripenserà mai questo insegnamento che ha fabbricato, a conti fatti, più agnostici dell’ ora di ateismo della scuola brezneviana: esso ha un valore di prova delle tutele concordatarie, come dimostra l’ allarme che si sparge ad ogni stormir di Tar. Ma l’ idea che per amor di parità costituzionale si debba allora insegnare l’ islam agli islamici (e dunque l’ induismo agli indù, il sikhismo ai sikh, il confucianesimo ai cinesi, e via di seguito, fede per fede, confessione per confessione) sarebbe davvero un errore. Sarebbe semmai utile fare proprio il contrario. Nessuno come i ragazzini islamici avrebbe bisogno di imparare cos’ è il cristianesimo, per smontare le caricature crociate che il discorso fondamentalista ha propagandato a piene mani. Così come ai bambini, ai ragazzi e anche a qualche adulto italiano sarebbe utile sapere qualcosa di più su cos’ è l’ ebraismo o l’ islam, al di là delle caricature sciocche o blasfeme di qualche eroe della porchetta. Ma di fatto gli unici che hanno la possibilità di praticare questa vaccinazione anticaricaturale sono proprio le famiglie musulmane, indù, sikh che possono decidere di avvalersi degli insegnanti di «religione cattolica», sperando che insegnanti buoni diano un buon esempio di alfabetizzazione dell’ alterità. Nella Chiesa non manca chi vede quanto sia pericoloso evocare la logica della tradizione e della maggioranza in queste materie. Ma da noi prevalgono le istanze simboliche: quelle agitate dal cattolicesimo europeo d’ inizio secolo contro le laicità aggressive – lo spazio pubblico della fede, il diritto della famiglia e della scuola privata – si rivelano oggi più spendibili sul mercato politico, ma più pericolose sul piano giuridico. Giacché difendere privilegi vuol dire doverli prima o poi concedere a tutti: e questo rischia di fare della società globale una federazione di atolli identitari in un oceano tempestoso di costumi violenti che bagnano inesorabilmente tutte le spiagge dell’ arcipelago. Se di questo dibattito – com’ è facile capire – resterà niente sul tavolo della politica, il problema tornerà in grembo alle fedi: solo loro possono radicare nella loro esperienza il rispetto dell’ altro, solo loro possono insegnare a desiderare di guardare alle vastità dei popoli e alla immensità delle generazioni credenti d’ altra magione con gli occhi con cui li guarda Dio. E non è un insegnamento che dura un’ ora.

Alberto Melloni su “Corriere della Sera”, 20 ottobre 2009, pagg. 10-11

Il MSAC su “La Stampa” in merito all’ora di tutte le religioni!

vi proponiamo l’opinione espressa da MSAC, durante intervista ANSA, a proposito della proposta dell’assessore di Roma Marsilio di introdurre un’ora AGGIUNTIVA di storia delle religioni

Chi insegna l’Islam?

“La stampa.it” 20/10/09

«Chi si farà carico dell’insegnamento dell’ora di storia di tutte le religioni? Quella dell’assessore Marsilio sembra una buona proposta, ma spero che non finisca per essere la vetrina per gli esponenti delle comunità religiose locali. A insegnare l’ora di storia di tutte le religioni dovrebbero essere insegnanti qualificati nella materia». Lo ha detto la segretaria nazionale del Movimento Studenti di Azione Cattol ica (Msac) Sara Marotta. La segretaria del Msac ha così commentato la proposta dell’assessore capitolino alla Scuola Laura Marsilio sull’inserimento, nelle scuole romane, di un’ora aggiuntiva di storia tutte le religioni. «Spesso – ha aggiunto Marotta – si fa confusione sull’ora di religione insegnata nelle scuole, che non è un’ora di catechesi. L’ora di ’interreligionè è un’iniziativa positiva, ma devèessere insegnata da un docente specializzato in storia delle religioni. Non bisogna dimenticare che, su questa faccenda, in gioco ci sono gli studenti»

Gelmini: “I bidelli puliscano le aule”

Durante l’audizione di oggi alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati il ministro della Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini, ha dichiarato:  «Sono contraria al fatto che i bidelli non puliscano le scuole e si appaltino le pulizie all’esterno. È uno spreco di risorse pubbliche».

Soffermandosi sulle carenze di risorse economiche per le scuole e ricordando che le spese di funzionamento sono state tagliate per una cifra pari a 530 milioni di euro dal precedente Governo (in conseguenza del meccanismo della clausola di salvaguardia), il ministro ha fatto notare che un primo intervento di recupero, 200 milioni di euro, rispetto alla cifra tagliata, è stato già fatto.

La Gelmini ha, infatti, fatto sottolineato che il Ministero sta lavorando in questi giorni con il Tesoro e che è certa che questo Governo sarà in grado di mettere a disposizione una cifra cospicua per le spese di funzionamento.

Ha poi continuato spiegando che a questo proposito «ci sono dirigenti scolastici capaci di fare il proprio mestiere, e quindi anche di garantire scuole pulite, e altri che non sono capaci. È arrivato il momento dunque di affrontare il tema del reclutamento e della valutazione per vedere chi vale e chi no».

Voi cosa ne pensate?

Audizione del Ministro Gelmini

da TUTTOSCUOLAAudizione della Gelmini in commissione Cultura alla Camera
Sul tema dell’avvio dell’anno scolastico

E’ in corso dalle ore 14,00 (7 ottobre 2009) l’audizione del ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, in commissione Cultura alla Camera sulle problematiche connesse all’avvio dell’anno scolastico.

Circa la mobilità del personale il ministro ha precisato che “sono state oltre 150 mila le richieste di mobilità dei docenti e del personale Ata“.

Quanto alla questione delle sezioni primavera, il titolare di viale Trastevere ha spiegato di aver avuto “rassicurazioni dal ministro Fitto e dal presidente della Conferenza delle Regioni Errani sul fatto che, lasciando sullo sfondo le questioni politiche complesse, si possa e si debba procedere all’emanazione dei pareri“. Il ministro al riguardo ha auspicato “che prevalga il senso di responsabilità“, e che arrivi presto dalla Conferenza Stato-Regioni il “parere sulla riforma della scuola superiore e quello sulle sezioni primavera“.

La Gelmini ha poi spiegato che “in Abruzzo è stata completata la riapertura di tutte le scuole. E’ stata un’operazione complessa e ringrazio, per questo, la Protezione civile, il provveditorato, gli enti locali e il direttore dell’ufficio scolastico regionale”. Il ministro ha poi sottolineato che nella regione colpita dal sisma del 6 aprile scorso “sono stati stanziati 226 milioni per l’edilizia scolastica“.

Il ministro ha poi concluso che il problema dell’edilizia scolastica è una “emergenza nazionale“. “Abbiamo stanziato – ha spiegato il ministro – un miliardo di euro, ma è una somma difficile da spendere perché le procedure sono complicate e non sempre c’è un forte accordo con gli Enti locali“.

La Gelmini agli studenti d’Italia

DISCORSO DEL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA
MARIASTELLA GELMINI

Roma, 25 settembre 2009

Signor Presidente della Repubblica, 

autorità, insegnanti, genitori, care ragazze e cari ragazzi, 

tutti noi abbiamo negli occhi e nel cuore l’immagine di un bambino. Si chiama Martin Fortunato e lunedì scorso, di fronte a un Paese che piangeva i suoi soldati morti in missione di pace, correva verso la bara del padre e si fermava ad accarezzarla piangente. 

Quel bambino il giorno dopo è tornato fra i banchi della sua scuola, nel senese. Quel bambino, il giorno dopo, ha trovato nella scuola l’occasione per tentare di tornare a una vita normale, circondato dal calore degli insegnanti e dei compagni. 

Anche i ragazzi dell’Aquila, colpiti dal terribile terremoto dell’aprile scorso, hanno iniziato il loro anno scolastico il 21 settembre scorso. Grazie alla generosità, allo spirito di abnegazione e alla passione di dirigenti e insegnanti, che ringrazio, e all’impegno di tutto il Paese, lì la scuola ha dato il meglio di sé e circa diecimila ragazzi sfollati hanno potuto ricominciare le lezioni. 

Tornando anche loro a sperare nel futuro. Sei mesi fa sembrava un obiettivo impossibile.

Questa è la scuola, questo deve essere: un luogo accogliente, dove crescere serenamente. Un luogo che educhi alla libertà, alla valorizzazione del talento di ciascuno, al rispetto delle differenze, un luogo che vi renda curiosi di apprendere.

E’ stato un anno duro, difficile. Certamente la situazione economica e la crisi internazionale ci hanno posti davanti ad una sfida: quella di usare meglio le risorse. Nonostante le difficoltà ci stiamo riuscendo: abbiamo varato provvedimenti importanti, riformato la scuola primaria, approvato nuove modalità per diventare insegnante, investito nell’edilizia scolastica. 

Abbiamo lavorato sodo, per affrontare l’emergenza educativa che stiamo vivendo in questi anni. E voglio ringraziare quelle scuole che, nella loro autonomia, hanno promosso progetti contro il bullismo, la droga, la disfunzioni alimentari. 

Noi sentiamo il dovere di offrire ai ragazzi un accompagnamento solido e responsabile dei loro percorsi di crescita. Abbiamo stretto con i genitori un patto di corresponsabilità affinché ciascuno faccia la propria parte Occorre, come ha sottolineato anche la Cei nel suo rapporto sull’educazione presentato nei giorni scorsi, un’alleanza per l’educazione, un’alleanza che veda partecipi tutti: scuola, famiglia, imprese, mass media. La comunità nel suo complesso. 

C’è un detto africano secondo cui “per educare un bambino serve un villaggio”. Noi dobbiamo costruire. Ed è per questo che ci siamo impegnati anche per rafforzare, non solo nella scuola, ma nel paese, il ruolo degli educatori-formatori che negli ultimi tempi è stato troppe volte banalizzato e svilito.

Occorre ripristinare la comunità educante. 

Nessuno diventa adulto da solo. Senza punti di riferimento i giovani avvertono il peso della solitudine, dell’inesperienza e dell’incertezza. 

I ragazzi hanno invece bisogno di buoni maestri e di una scuola che sappia coniugare rigore e apertura verso l’altro, educazione e tolleranza, serietà negli studi e creatività.

Una scuola che educhi alla libertà e che faccia comprendere agli studenti che sono titolari di diritti ma anche di doveri.

Ed è per questo che, grazie anche alla sensibilità e all’attenzione del presidente Napolitano, ho voluto che sui banchi si tornasse a studiare la nostra Carta Costituzionale: la “mappa” dei nostri valori. Valori fondanti, come la libertà, la pace, il rispetto della dignità umana, della vita, delle differenze, ma anche la solidarietà e il rispetto dell’ambiente, torneranno sui banchi delle scuole italiane, grazie a una nuova materia, “Cittadinanza e costituzione”. 

Mi sembra inoltre doveroso oggi ricordare, in questo alto contesto istituzionale, che il 5 dicembre prossimo sarà la giornata nazionale del volontariato.

Anche qui la scuola farà la sua parte. Aprire la scuola al volontariato significa riconoscere le esperienze associative come luoghi di crescita di relazioni umane, improntate alla cura e alla solidarietà, favorendo una reale esperienza di partecipazione alla vita sociale. 

Ma da quest’anno la scuola si prepara anche alle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia, un appuntamento che ha un alto valore simbolico. Proprio mentre si approva il federalismo e ci si avvia alla valorizzazione delle differenze, la ricorrenza dei 150 anni ci aiuta a riflettere sul sistema Paese e a non disperdere l’identità nazionale in una cornice unitaria. 

Una ricorrenza storica di altissima importanza, che offrirà possibilità di approfondimenti e spunti di riflessione a tutti voi e che sarà occasione di lavorare in gruppo per rimarcare i valori fondanti della nostra Patria e riscoprire l’orgoglio di essere italiani.

Perché la nostra sfida è anche questa: essere consapevoli della nostra identità, per essere pronti ad accogliere chi è diverso da noi.

Noi vogliamo una scuola inclusiva che accolga gli stranieri ma perché avvenga l’integrazione è indispensabile insegnare la nostra lingua, la nostra cultura, la nostra religione e la nostra storia. Perché la scuola deve assolvere al compito di integrare, ma senza disperdere il patrimonio di valori occidentali.

Vogliamo una scuola che abbia cittadinanza nei luoghi di sofferenza, che offra pari opportunità a tutti, che non lasci indietro nessuno. 

Il mio pensiero va agli studenti diversamente abili, agli studenti costretti a studiare in un letto d’ospedale, agli studenti in carcere, ai ragazzi che vivono nelle aree degradate e agli insegnanti che quotidianamente si occupano della crescita culturale e civile di ciascuno di voi, creando opportunità di futuro anche nei contesti sociali più difficili. Vogliamo una scuola che educhi alla legalità.

A questo proposito, particolarmente caro ed emozionante per me è il ricordo dei due giorni passati sulla Nave della legalità da Napoli a Palermo il 23 maggio scorso, anniversario della strage di Capaci, manifestazione che ha avuto l’onore di ospitare il Presidente della Repubblica e il procuratore Grasso. 

In quell’occasione, fortemente voluta dalla Fondazione Falcone e da questo ministero, le scuole hanno dimostrato una passione ed una capacità educativa straordinari, che rappresentano una risorsa unica per tutti noi. 

E’ questa la scuola alla quale dobbiamo lavorare tutti insieme, la scuola che vogliamo offrire a voi ragazzi: una scuola dell’inclusione che funga da “ascensore sociale” e che crei mobilità sociale nel Paese, in particolare al Sud. Una scuola meritocratica. Perché il merito è la più alta forma di democrazia poiché consente a tutti, a prescindere dai mezzi economici e dalla provenienza sociale, di realizzarsi nella vita.

Ci impegneremo per garantire a tutti il diritto allo studio, perché i più bravi siano riconosciuti come tali e possano perciò accedere gratuitamente all’Università. 

In un momento di crisi la scuola deve porsi il problema dell’occupazione dei giovani. Non può essere una fabbrica di disoccupati intellettuali, ma una istituzione volta a preparare figure professionali competenti e attive. 

Con l’anno scolastico 2010-11 sarà dato avvio al nuovo ordinamento dell’istruzione secondaria superiore: un cambiamento epocale, che metterà in collegamento scuole e mondo del lavoro, come abbiamo raccontato nei giorni scorsi presentando il progetto per l’occupabilità dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro.

L’istruzione tecnica e professionale favorirà la formazione, ad alto livello, di tecnici e professionisti operanti nel mondo del lavoro. 

Ma anche l’istruzione liceale, pur rispettando, la tradizione italiana sarà proiettata anche verso l’innovazione nei diversi settori della cultura umanistica, scientifica e artistica. Lo studente troverà nel liceo, in qualsiasi percorso liceale, anche in quello musicale, che abbiamo rilanciato. la possibilità di esprimere le sue vocazioni. 

Questa la scuola che vogliamo offrirvi. Una scuola che vi renda protagonisti del vostro futuro. Una scuola degna di un Paese non rassegnato, ma aperto alle nuove sfide.

Un Paese che ripone in voi le sue speranze. Un Paese che deve investire sui suoi giovani. 

Se è vero che la scuola è palestra di vita, noi, per voi, siamo in continuo allenamento.

Da parte mia c’è tutto l’impegno. Spero che anche voi, durante i prossimi mesi, vi impegnerete altrettanto.

Non mancherà la fatica, qualche delusione, ma vi auguro che quest’anno sia un pilastro importante della vostra crescita, e che anche da adulti lo ricordiate con emozione.

Buon anno scolastico.

Il saluto di Napolitano alla Scuola Italiana

Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della cerimonia di apertura dell’anno scolastico 2009/2010

Palazzo del Quirinale, 24 settembre 2009

Rivolgo innanzitutto un cordiale saluto alle autorità che sono oggi qui in rappresentanza del Governo e del Parlamento. Anche quest’anno saluto e ringrazio tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questa cerimonia, con il proprio lavoro e con la propria partecipazione. Un saluto speciale ai veri protagonisti dell’evento: ai ragazzi qui presenti, a quelli che ci seguono da lontano. Un saluto a tutto il mondo della scuola, con particolare affetto e fiducia agli insegnanti che sono il muro maestro della nostra scuola, ed egualmente ai tecnici, al personale non docente. E insieme un saluto alle famiglie degli alunni la cui partecipazione al progetto educativo dei figli e dei nipoti è essenziale.

In questa occasione, vorrei ricordare e ringraziare anche altre persone che lavorano per una buona scuola. Coloro che nel Ministero della Pubblica Istruzione, negli Uffici Scolastici regionali, negli assessorati di Regioni, Province e Comuni fanno funzionare la complessa macchina dell’istruzione, spesso aiutati da operatori del privato sociale, da studiosi di dipartimenti universitari e di centri di ricerca. In quest’area multiforme di istituzioni e di strutture operanti a tutti i livelli troviamo persone impegnate, creative, capaci di individuare problemi e proporre soluzioni nuove e socialmente utili. A questi silenziosi tessitori va la nostra gratitudine, e va il giusto sostegno e riconoscimento.

Quest’anno proprio sull’istruzione si sono puntati i riflettori. La crisi economica che stiamo attraversando ha suscitato accese discussioni in merito alle migliori strategie da seguire per superarla. Ci sono state e ci sono – come è normale – notevoli divergenze, ma su due punti si è registrato un riconoscimento praticamente unanime. Dalla crisi l’Italia deve uscire migliore di come vi è entrata, bisogna quindi guardare alle risorse – soprattutto intellettuali e politiche – su cui far leva per superare le ragioni di debolezza strutturale del nostro sistema economico e sociale, per renderne possibile una crescita più sostenuta che negli ultimi dieci anni. Un’importante ragione strutturale di debolezza – e questo è il secondo punto su cui si conviene – è costituita dall’insufficiente valorizzazione del nostro capitale umano. Le persone, i paesi non sono solo ricchi o poveri di risorse naturali o di capitali, sono anche – e questo è il fattore cruciale – ricchi o poveri di conoscenza e di attitudine a utilizzarla per affrontare situazioni, per risolvere problemi. La buona istruzione serve agli individui per lavorare con successo, e rendere quindi più ricchi se stessi e il proprio paese, e serve anche a vivere con intelligenza, a realizzare se stessi. E’ di recente scomparso Ralf Dahrendorf, un grande scienziato sociale politicamente impegnato, che sosteneva come la principale ragione per istruire i cittadini non fosse il fatto che ciò comporta evidenti vantaggi economici per il paese, ma il principio secondo cui “ogni essere umano, dovunque sia nato e di chiunque sia figlio, deve avere l’opportunità di sviluppare i propri talenti”. E’ quello che dice d’altronde l’articolo 2 della nostra Costituzione, quella “legge delle leggi” che, come ha ricordato il Ministro, è oggetto di specifico insegnamento nelle scuole : “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, dice la nostra Carta. E tra questi ostacoli il maggiore è forse proprio quello di un insufficiente livello di istruzione.

Ma l’Italia è purtroppo un paese in cui l’istruzione non è ancora abbastanza efficiente : quando confrontiamo le competenze acquisite a scuola dai ragazzi italiani con quelle dei coetanei dei paesi ad analogo livello di sviluppo in Europa e in Asia constatiamo nostre gravi carenze. Sappiamo da tempo che in questo campo c’è soprattutto da sanare un grave squilibrio tra Nord e Sud. Serve un’istruzione migliore, un’istruzione che valorizzi anche la matematica e le materie scientifiche, troppo trascurate nel nostro paese, come ci spiegherà Alberto Angela.

Dobbiamo certo osservare con soddisfazione che anche in matematica e nelle materie scientifiche siamo capaci di produrre eccellenze. In vari recenti concorsi internazionali di matematica i nostri studenti si sono piazzati molto bene, lo stesso vale per i giovani scienziati. Ma un’istruzione migliore non significa un’istruzione che produce solo eccellenze, perché senza un tessuto di competenze diffuse un paese non cresce né economicamente, né civilmente. Un’istruzione migliore non significa di certo neppure un’istruzione di elite, riservata a pochi. Un paese giusto è quel luogo in cui l’opportunità di un’istruzione di qualità è offerta anche ai figli delle famiglie meno abbienti, anche a coloro che studiano nelle zone meno ricche del territorio nazionale, in modo che tutti i ragazzi possano sperare di vivere meglio, di affermarsi nelle professioni, di contribuire in tal modo al benessere complessivo del paese.

Tuttavia, attenzione : né l’impegno dei poteri pubblici né gli sforzi di quanti operano nella scuola possono bastare, se non faranno la loro parte gli studenti. E’ stato questo il messaggio di recente rivolto agli studenti americani dal Presidente Obama per il primo giorno di scuola : e voglio citarne qualche passaggio significativo, perché ci mostra come si tratti di esigenze che non conoscono confini, che valgono per l’America come per l’Italia. “Ho parlato – ha detto agli studenti il Presidente Obama – della responsabilità dei vostri insegnanti, di quella dei vostri genitori, di quella del governo : ma in definitiva nulla basterà se voi non farete fronte alle vostre responsabilità. L’educazione vi dà l’opportunità di scoprire quel che di meglio avete in voi. E qualunque cosa vogliate fare nella vita, avrete bisogno di una buona educazione (…). So che talvolta la televisione vi dà l’impressione di poter diventare ricchi e avere successo senza lavorare duramente : magari a basket o in un reality show. Ma il vero successo è duro da raggiungere, richiede sforzi tenaci anche se non tutto quel che dovete studiare vi piace, e non tutti gli insegnanti vi piacciono”.

Che così stiano le cose, lo sanno bene alcuni dei partecipanti a questa cerimonia : i giovani scienziati e inventori, i diplomati con 100 e lode dell’Aquila che hanno continuato a studiare all’indomani di una tragedia e in condizioni difficili. Lo sanno i campioni delle Olimpiadi che si sottopongono ad allenamenti massacranti senza per questo abbandonare lo studio. Anche chi canta, chi fa parte di cori, come quelli presenti qui quest’anno, chi compone o suona musica, sa che per riuscire occorrono fatica, impegno, esercizio. Qualche successo effimero si può anche ottenere per caso, con compromessi o con l’inganno, ma solo il duro lavoro dà risultati duraturi, in tutti i campi. E solo quando non si lavora solo per se stessi si ottengono risultati appaganti : solo quando si lavora per la comunità, per il paese.

Quando dico “la comunità”, quando dico “il paese”, intendo la patria. E’ una parola, questa, che non bisogna esitare a pronunciare per paura di cadere nella retorica. No, non è stato retorica, nei giorni scorsi, il provare dolore, il commuoverci per i sei giovani militari italiani caduti in Afganistan, il rendere loro omaggio solenne, lo stringerci attorno alle loro famiglie così esemplari per forza d’animo e compostezza.

Quel che hanno significato per più generazioni di italiani la conquista e la riconquista del senso della patria, la faticosa, aspra realizzazione del grande sogno di uno Stato nazionale unitario, avrete modo di studiarlo – come ha detto il ministro Gelmini, e apprezzo molto questo suo impegno – in occasione del 150° anniversario dell’Unità.

Dando vita e sviluppo allo Stato nazionale unitario, l’Italia ha conquistato voce, peso, rispetto. Ma è importante ricordare, tutti noi, che un paese si fa rispettare se è rispettabile e se rispetta gli altri : se i suoi cittadini si comportano con senso del decoro, se non offendono chi è diverso da loro, le minoranze religiose, gli stranieri immigrati, gli omosessuali, chi ha una pelle di altro colore.

Non basta impegnarsi per affermarsi come individuo, questa è una ricetta di vita che alla lunga non è appagante. Siamo più felici quando lavoriamo anche per gli altri, magari sacrificando un po’ del nostro tempo, delle nostre ambizioni, delle nostre sicurezze. Tanti ragazzi italiani sono impegnati nel volontariato, e ancora di più la scuola può aprirsi al volontariato – lo ha sottolineato il Ministro Gelmini. A volte impegnarsi per gli altri significa anche assumere dei rischi, avere coraggio.

Sfidare condizioni difficili è quanto accade a chi si attiva per affermare la legalità, per il rispetto dei valori costituzionali, impegnandosi – anche da giovane o da giovanissimo – contro la criminalità organizzata. Su questi valori e per questi scopi si deve manifestare concordia nazionale, si deve avere più mobilitazione comune. E proprio di legalità parla qui oggi, con studenti della Calabria e del Veneto, il Procuratore Piero Grasso, che è stato ed è un autentico protagonista della lotta contro la mafia.

Ma serve anche il piccolo coraggio di tutti i giorni, difendere i ragazzi più deboli, quelli oggetto di scherno e di aggressioni, difendere le compagne di scuola da attenzioni che non gradiscono, da molestie inammissibili.

Insomma, impegno nello studio e impegno civile fanno tutt’uno. Mostriamocene consapevoli. Certo, capisco, questo richiamo all’impegno, al dovere, ai valori ideali e morali, può suonare fastidioso, predicatorio. Ma è un richiamo – ve lo posso assicurare – che vale non solo per voi, ma per tutti, che rivolgo a tutti, e in particolare a ciascuno di noi che rappresenta le istituzioni della Repubblica. E’ da noi che deve venire il buon esempio : avete il diritto di aspettarvi che l’esempio venga da noi, avete il diritto di chiedercelo.