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Campo Nazionale MSAC 2011

23 al 27 Luglio a Fognano (in Emilia Romagna, vicino a Faenza) si terrà il campo nazionale Msac 2011. Vi rivolgiamo perciò ora l’invito caloroso a partecipare a questo appuntamento che ritma la vita associativa e che, a inizio triennio, diventa un momento prezioso non solo per conoscerci ma anche per iniziare a lavorare  e ragionare assieme  su quelle che sono, secondo noi, le sfide più importanti oggi per la vita del Movimento nelle nostre associazioni diocesane e nelle nostre scuole nella comune passione per gli studenti che ci sono affidati.

“La bella vita. Studenti per VocAzione” sarà il titolo di questi giorni, che ci aiuteranno ad andare al cuore della proposta cristiana e associativa dell’anno prossimo, dedicato al tema della vocazione (“Alzati! ti chiama”).

Dopo aver incontrato al congresso e all’assemblea nazionale non vediamo l’ora di rivedervi! Vi aspettiamo per inizia nel migliore dei modi il primo anno del triennio!

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A proposito di storia a scuola…

Al XIV congresso MSAC, l’ultima mattina è stata dedicata al tema dell’insegnamento della storia nella scuola superiore. Ed è proprio di ieri la polemica scaturita da una richiesta di dodici parlamentari del Pdl di attivare una commissione d’inchiesta sui libri di testo scolastici, accusati di essere di parte

Vi incolliamo qui un articolo di tuttoscuola. commentate!

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La storia di parte

La notizia di scuola su cui si focalizzano da ieri sera agenzie di stampa e giornali è la richiesta, da parte di 19 deputati del Pdl, capitanati da Gabriella Carlucci, di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta “sull’imparzialità dei libri di testo scolastici”.

Nella richiesta, i parlamentari della maggioranza si chiedono se possa “la scuola di Stato, quella che paghiamo con i nostri soldi, trasformarsi in una fabbrica di pensiero partigiano” e fanno alcuni esempi dei testi incriminati.

Vediamoli dunque questi esempi: ne ‘La storia’ di Della Peruta-Chittolini-Capra, edito da Le Monnier, si descrivono “tre personaggi storici: Palmiro Togliatti ‘un uomo politico intelligente, duttile e capace di ampie visioni generali’; Enrico Berlinguer, ‘un uomo di profonda onesta’ morale e intellettuale, misurato e alieno alla retorica’; Alcide De Gasperi ‘uno statista formatosi nel clima della tradizione politica cattolica’“.

In ‘Elementi di storia’ di Camera-Fabietti, edito da Zanichelli, si legge “l’ignominia dei gulag sovietici non è dipesa da questo sacrosanto ideale (il comunismo), ma dal tentativo utopico di tradurlo immediatamente in atto o peggio dalla conversione di Stalin al tradizionale imperialismo”.

In ‘Storia’, volume III, di De Bernardi-Guarracino, edito da Bruno Mondadori, si trova scritto che dal 1948 “l’attuazione della Costituzione sarebbe diventato uno degli obiettivi dell’azione politica delle forze di sinistra e democratiche“.

Per andare a tempi più recenti, i parlamentari del Pdl citano di nuovo il volume ‘La storia’ di Della Peruta-Chittolini-Capra, edito da Le Monnier, che così descrive l’allora Partito democratico della sinistra: “Il Pds intende proporsi come il polo di aggregazione delle forze democratiche e progressiste italiane” con “un programma di riforme politico sociali miranti a rendere più governabile il Paese“.

Tra i passi incriminati si cita anche la descrizione che ‘L’età contemporanea’ di Ortoleva-Revelli, edito da Bruno Mondadori, fa di Oscar Luigi Scalfaro: “Dopo aver abbandonato l’esercizio della magistratura per passare all’attività politica nel partito democristiano” si è segnalato “per il rigore morale e la valorizzazione delle istituzioni parlamentari“.

Ancora: il manuale ‘Elementi di storia’ di Camera e Fabietti descrivono l’attuale presidente del Pd, Rosy Bindi, come la “combattiva europarlamentare” che, ai tempi della militanza nella Democrazia cristiana, sollecitava ad “allontanare dalle cariche di partito” tutti “i propri esponenti inquisiti“.

Lo stesso testo afferma che, nel 1994, “con Berlusconi presidente del Consiglio, la democrazia italiana arriva a un passo dal disastro“. Secondo gli autori, “l’uso sistematicamente aggressivo dei media, i ripetuti attacchi alla magistratura, alla Direzione generale antimafia, alla Banca d’Italia, alla Corte costituzionale e soprattutto al presidente della Repubblica condotti da Berlusconi e dai suoi portavoce esasperarono le tensioni politiche nel Paese“.

tuttoscuola.com

Difendere l’istruzione pubblica

Noi nella pubblica istruzione ci crediamo. Punto.

“La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti”. (Piero Calamandrei)

Le parole del Presidente del Consiglio pronunciate sabato scorso al congresso dei cristiano riformisti contro la scuola pubblica sono gravi. Gravi innanzitutto perché, sottointendendo una pretesa rivalità tra scuola statale e paritaria, mandano al diavolo  dieci anni di storia del Paese, da quando la legge del 10 marzo 2000 n. 62 sulla parità scolastica ha riconosciuto il contributo delle scuole private paritarie al sistema pubblico integrato di istruzione. Sono gravi, ancora, perché, se è pur vero che la libertà di scelta educativa da parte delle famiglie è un tema caro tra le istanze dei cattolici, non è affatto vero che questi odino o non siano pronti a difendere con convinzione il diritto costituzionale alla scuola pubblica. E se a qualcuno fosse venuto il dubbio, bastano a dissiparlo le parole del presidente della Conferenza Episcopale Italiana Angelo Bagnasco, che proprio ieri ha ricordato che “la Chiesa, come sempre, ha molta stima e fiducia nella scuola perché è un luogo privilegiato dell’educazione, tanto più che siamo nell’ambito del decennio sulla sfida educativa, che la Cei ha scelto. Quindi ci sta a cuore l’educazione integrale anche attraverso la scuola e in qualunque sede, statale o non statale, l’importante è che ci sia questa istruzione ma anche questa formazione della persona che è scopo della scuola a tutti i livelli”

Dicevamo, quelle di sabato sono parole gravi soprattutto perché sminuiscono una delle istituzioni fondamentali di questa Repubblica e spiace che siano state pronunciate proprio una delle maggiori cariche dello Stato. Nel 1967 quel meraviglioso appello che è Lettera ad una professoressa, scritto dai ragazzi della scuola di Barbiana, rivendicava l’istruzione e la scuola pubblica come il principale strumento di uguaglianza sociale e luogo strategico di formazione dei “cittadini sovrani”. Chiedendo l’attuazione del diritto allo studio per tutti, compresi i cosiddetti “cretini e gli svogliati”, i ragazzi di Barbiana, più volte rimandati agli esami, ricordavano: “è esattamente quello che dice la Costituzione quando parla di Gianni: Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, lingua, condizioni personali e sociali. è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (…) Per il babbo di Gianni l’articolo 3 suona così: “è compito della professoressa Spadolini rimuovere gli ostacoli…”

E parliamo adesso di loro, i professori, ma anche i dirigenti scolastici, gli operatori ATA e tutte le persone che con professionalità ed impegno abitano ogni giorno la scuola e hanno per santa missione, ogni anno scolastico, nonostante tutto, di farne un posto migliore. Parliamo anche degli studenti, che di coraggio ne hanno da vendere e che invece di fiducia ne abbisognano tanta e proprio nei loro docenti trovano gli educatori, i maestri, gli accompagnatori per la loro crescita di uomini e cittadini. “Ci sono tantissimi insegnanti e operatori  – le parole sono sempre di Bagnasco – che sappiamo che si dedicano al proprio lavoro con grande generosità, impegno e competenza, sia nella scuola statale che non statale. Quindi il merito va a loro”. Voce del verbo educare che nulla ha a che vedere con quell’altro, “inculcare”.

Svalutare il lavoro di questi prof e il percorso di studi degli studenti è grave. Affermare che la scuola statale, diritto e dovere costituzionale, sia una istituzione educativa di parte è altrettanto grave. Ma è ancora più grave che, ancora una volta, in pochi alzino la voce a difendere la scuola ed è grave che nelle file di questi non figuri l’attuale Ministro dell’Istruzione.

Ma per questo Paese centocinquantenario c’è ancora speranza se alla fin della giostra studenti e professori, uniti, insieme come solo sanno fare per le cose che contano, a dispetto di tutti i cliché che li vedono in eterno antagonismo, ricorderanno, ancora una volta e sempre con la stessa passione, che la scuola, la scuola di tutti, serve.

Saretta Marotta

segretaria nazionale MSAC

La scuola e l’Unità

“La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l’espressione di un altro articolo della Costituzione: dell’art. 3: “Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali”. E l’art. 151: “Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni.”

Piero Calamandrei

La Berluscuola


Per la rubrica “dico la mia”, ospitiamo qui un articolo postato sul suo blog da Pierluigi Vito, già collaboratore centrale MSAC e direttore della rivista msacchina “Presenza & Dialogo studenti”.

La Berluscuola

di Pierluigi Vito

“Poter educare i figli liberamente e liberamente vuol dire di non essere costretto a mandarli a scuola in una scuola di stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare dei principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono inculcare ai loro figli educandoli nell’ambito della loro famiglia” (Silvio Berlusconi, 26 febbraio 2010)

È questo uno dei diritti fondamentali dell’individuo secondo le parole di Silvio Berlusconi ai Cristiano Riformisti, in occasione del loro Congresso Nazionale, il secondo per l’esattezza (cavolo, ci siamo persi il primo!). Il nostro sedicente primo ministro prosegue quindi a denigrare e delegittimare le istituzioni della nostra Repubblica. Stavolta tocca alla scuola, luogo di produzione culturale, di formazione del pensiero, di inclusione nella cittadinanza.

Cultura, pensiero, cittadinanza: tutti temi chiaramente irritanti per l’autocrate dal telecomando d’oro. Il quale è o profondamente ingenuo o irredimibilmente ignorante o perniciosamente cinico nelle sue sparate: delegittimare la scuola pubblica in sé, vuol dire svuotarla dell’autorevolezza che ha mantenuto nel corso della storia italiana e -proprio nell’anno del 150° – rinnegarla come punto di riferimento unitario: ragazzi del sud e del nord, ricchi e poveri, chiamati a confrontarsi su una lingua, su testi, su programmi comuni, portando le loro diversità. Come bene ha detto stamattina su Radio3 Adolfo Scotto Di Luzio, (docente di Storia della scuola all’Università di Bergamo) la scuola pubblica italiana – con tutti i suoi limiti – è stata comunque per tante generazioni l’incontro con “l’estraneo culturale”.

Ovvero è stato il luogo in cui ragazzi abituati a sfogliare i libri delle librerie domestiche dei genitori si sono incontrati con chi non ne aveva mai visti in casa; il luogo in cui estrazioni, storie e visioni del mondo diverse si incontravano, si scontravano, crescevano. Il luogo in cui (almeno sulla carta, spesso nei fatti) il figlio dell’operaio e il figlio del professionista erano sullo stesso piano. Cosa detestabile per il nostro premier come egli stesso ha candidamente ammesso nel 2006, in uno dei faccia a faccia con Romano Prodi.

E proprio davanti a una platea cristiana, questo corruttore di avvocati e di costumi, in epoca di emergenza educativa, secondo le parole del Papa, decide di affondare il coltello nel corpo e nella dignità della maggiore agenzia educativa che qualunque Stato civile metterebbe al centro delle sue politiche. Il nostro non lo è.

Ma a questo punto occorre anche chiedersi che razza di Chiesa sia la nostra se accetta tutto ciò senza dire nulla, accontentandosi delle lenticchie che questo gerarca del bunga bunga è disposto a concedere. Un attacco del genere alla scuola pubblica, la scuola degli Italiani, De Gasperi, Dossetti, Moro e tanti altri politici democristiani che si batterono perl’art.33 della Costituzione non l’avrebbero mai tollerato. E noi quanto siamo disposti a tollerare?

Dal MSAC di Arezzo

Ribadiamo l’invito ai circoli msacchini a inviarci i loro comunicati stampa e notizia delle loro iniziative

Alla cortese attenzione della

Presidenza della Provincia di Arezzo

Spettabile Dottor Roberto Vasai,

con il presente comunicato la Segreteria Diocesana tutta del Movimento Studenti di Azione Cattolica esprime solidarietà verso i compagni di studio del Liceo Classico “Francesco Petrarca”, la vicinanza e il supporto entro i limiti del rispetto istituzionale che Vi dobbiamo, nonché nel desiderio di poter giungere ad un dialogo proficuo e costruttivo.

Nel giorno di mercoledì 24 eravamo presenti nell’Aula Magna del Liceo, invitati ufficialmente dai Rappresentanti d’Istituto al dibattito svoltosi  con il contributo degli esponenti di PD, Sinistra Ecologia Libertà, PDL e Blocco Studentesco: da quelle intense ore è stato chiaro l’interesse e l’amore dei liceali verso la propria Scuola, il sentire come propria la struttura stessa dell’edificio, la grande intelligenza dei pensieri nonostante il clima “acceso”.

Sindacabili certo possono essere i mezzi di protesta intrapresi dagli studenti, indubbia la volontà di costruire ponti tra le Istituzioni: sensibilità e attenzione sono le uniche attenzioni rivolte agli Uffici Vostri competenti.

Con serenità abbiamo voluto contribuire a questo inconsueto momento della nostra Scuola, con apertura ci siamo noi stessi messi in discussione, con forza però ribadiamo le comuni richieste: intervento rapido e profondo per risanare le condizioni in cui versa il Liceo Classico Musicale (nella succursale di via Garibaldi), chiarimenti sulla reale sicurezza dell’edificio in questione, disponibilità all’ascolto.

Non dimentichiamo le complesse vicissitudini economiche che anche la Vostra Istituzione sta passando, sarebbe da superficiali trascurare le tante iniziative da Voi già intraprese nel tempo.

Il Movimento Studenti si rende quindi volutamente disponibile e partecipe in qualsivoglia intervento desideriate la nostra presenza. Con fiducia,

Il Segretario Diocesano MSAC

(Gabriele Donnini)

AREZZO, 25 NOVEMBRE 2010

Campo nazionale MSAC 2010!!!

Dal 24 al 29 luglio a Fognano (in Emilia Romagna, vicino Faenza) si terrà il Campo nazionale MSAC 2010! Tema di quest’anno sarà il… sale dell’impegno! Proveremo a riscoprire la profezia msacchina per l’impegno, lI CARE milaniano, per le nostre città. Condurremo il campo dunque alla riscoperta degli Orientamenti Culturali e del contributo msacchino al bene comune attraverso la proposizione di temi sociali. Una buona parte del campo sarà poi dedicata allo stato di salute del movimento e alla riprogettazione del MSAC in vista del XIV congresso nazionale che ci attende ad aprile. Un appuntamento quindi da non perdere, soprattutto per chi ha conosciuto il MSAC a Rimini e ha voglia di continuare l’avventura. Vi aspettiamo a Fognano!!

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Tra la carta igienica e i sette sigilli

dove è finita la riforma? Da dove è partita?Viaggio nei meandri delle vicende ministeriali per capire a che punto stiamo…

di Saretta Marotta

apparso su “Ricerca” di maggio 2010

Di ministri che si sono attribuiti il merito di aver compiuto la “prima” riforma organica della scuola italiana dopo quella Gentile la storia della repubblica è piena. Ciascuno per suo conto ha preteso di essere iscritto nell’albo della memoria. Quando la vera riforma verrà speriamo che si faccia annunciare dalle trombe dell’Apocalisse… Al momento, di segni dei tempi non se ne vedono, i sigilli restano chiusi.

Cominciamo dal principio. I prologhi sono sempre istruttivi, in particolare nel caso delle leggi. Nel caso della nota “riforma Gelmini”, la chiave di tutto l’ingranaggio fu posta in un contesto che parla da solo: era l’estate 2008 quando veniva approvata la legge 133, la finanziaria, il cui art. 64 cambiava definitivamente faccia alla scuola italiana. Il Ministero dell’Economia soffiava la cattedra a quello in viale Trastevere, disponendo un programma di “razionalizzazione” della scuola italiana sotto tre punti di vista: delle strutture (la rete di scuole sul territorio), dell’organico (fu posto il “taglio” del 15% del personale ATA e di 80.000 docenti in tre anni) e degli ordinamenti. Al Ministro a capo del MIUR non restava che dover predisporre i regolamenti attuativi di tale articolo, il “piano programmatico”, appunto, cioè la cosiddetta “riforma”. Innanzitutto non facciamo confusioni: la “riforma” Gelmini non c’entra nulla con il brevissimo dpr 169, quello, per intenderci, che in soli dodici articoli, accostati un po’ alla Readers Digest, ha introdotto il voto in condotta, il maestro unico (per la verità sottinteso nelle conseguenze della finanziaria), la valutazione in cifre anche alle elementari e medie e la fatidica nuova materia “cittadinanza e costituzione” (due anni dopo lo sbandieramento di quella presunta innovazione, chiedete al prof. Luciano Corradini, vittima qualche tempo fa degli strali di Galli della Loggia, quanto questa materia abbia dovuto rassegnarsi ad un destino non diverso di quello della cugina educazione civica). Una “leggina” nata nell’estate 2008 proprio per consolare il detronizzato Ministro, dandole un progetto di legge tutto suo, dedicato integralmente alla scuola, proprio perché non si dicesse che il sistema formativo lo si cambiava solo con la calcolatrice. Ma questo ddl, nato il 1 agosto in forma molto più ampia, a fine mese, il 28, s’era dovuto accontentare dei ristretti panni di decreto, per la consueta prassi a cui purtroppo ci siamo abituati, per cui, pur di accelerare i processi legislativi, si finisce per fare gaffe incredibili, come quella recentemente avuta con un articolo del dl 134 “salva-precari” convertito in legge il 24 novembre 2009 e cassato il 27, che ci ha fatto gloriosamente entrare nel Guinness dei primati per essere durato solamente 48 ore…

Ma torniamo alla “riforma Tremonti”. Che più che altro è un “riordino”, nato di tutta fretta dal necessario rimpasto tra la riforma precedente targata Moratti, l’obbligo scolastico alzato a 16 anni da Fioroni e gli urgenti ed esigenti i limiti imposti dall’art. 64 della finanziaria.

Impossibile, dati i tempi, predisporre un piano organico, nessun “rapporto” o documentazione pedagogica (come invece fu il rapporto Bertagna per il Ministro Moratti, che pure ebbe modo di convocare nel 2001 gli “Stati Generali dell’Istruzione”) è sorta a sostenere il cambiamento e, purtroppo, a smentire l’accusa che si trattasse solo di una razionalizzazione economica.

Primo elemento: da 396 indirizzi sperimentali di licei e una sessantina tra diplomi di professionali e tecnici tutto è stato ricondotto a sei licei (artistico, classico, linguistico, musicale, scientifico e scienze umane), 2 settori per i tecnici (economico e tecnologico) e 2 per i professionali (servizi e industria-artigianato), con un numero limitato di indirizzi al proprio interno. Sembrerebbe un passo in avanti, necessario ed incontestabile. Peccato però che molte di queste sperimentazioni, consolidate da decenni e che hanno costituito il punto di forza della scuola dell’autonomia, siano eredità difficili con cui fare i conti. Ne sono una dimostrazione le miriadi di eccezioni, che purtroppo agiscono in senso tutt’altro che confermativo della regola e che stanno brulicando per l’Italia, tra istanze di professori, famiglie ed enti locali che riescono a salvare i propri istituti, vantando a buon diritto anche premi e riconoscimenti a livello europeo, e una meno nota eccezione, il “liceo della comunicazione”, che indisturbato continua la sua esistenza nelle scuole paritarie. Le regole o valgono per tutti o per ciascuno devono esserne chiari i criteri, altrimenti è ben difficile intravedere dove si concretizzi il risparmio e la tanto inseguita razionalizzazione.

Passiamo ai contenuti: i corsi sono organizzati, come stabilito dalla Moratti, in due bienni più anno finale. Il primo biennio Fioroni l’avrebbe voluto uguale o quasi uguale per tutti, nei variegati licei come nell’istruzione tecnica e professionale. Sarebbe questo il senso dell’obbligo scolastico elevato a 16 anni, per garantire una formazione “di base” più o meno omogenea a chiunque, attorno a quattro assi culturali e formativi essenziali: linguaggi, matematica, scienza e tecnologia e infine quello della storia e delle scienze sociali. Eppure la riforma Gelmini nel primo biennio dello scientifico (ma anche dell’artistico e del musicale) prevede solo 3 ore a settimana per una materia fondamentale come la storia, che tra l’altro le deve pure spartire con la forzatamente collega geografia e con la sempre dimenticata educazione civica. Praticamente un’ora e mezza, meno persino della ginnastica o quasi quanto la religione. Dei saperi sociali forti, quelli che connotano la cittadinanza, tipo diritto ed economia, in tutti i licei neanche l’ombra, a parte l’opzione economica del liceo delle scienze umane. Il latino, però, passa pure al linguistico! Va meglio ai tecnici e professionali, più rispettosi degli obiettivi formativi dell’obbligo scolastico e più omogenei: tra loro il sistema delle “passerelle” (ovvero la possibilità di cambiare percorso formativo) funziona a meraviglia, ma rispetto ai licei, così come tra i licei stessi, il muro è invalicabile.

Non si hanno notizie poi neanche della tanto attesa didattica laboratoriale. Difficile immaginarla, se in ogni regolamento si ripete la premurosa premessa “da attuarsi senza ulteriori oneri per lo Stato”. Per di più, la generalizzata riduzione delle ore ad una media di 27/30 a settimana non soltanto ha reso più ardua l’attuazione di approfondimenti, ma anche il normale andamento della didattica, che si ritrova con meno tempo ma in compenso più alunni per classe, rallentando pesantemente lo svolgimento di verifiche e lezioni. Sono soprattutto i professionali, passati da 40 a 30 ore settimanali, a scontare le conseguenze più dure di questa riforma all’insegna del risparmio. Scelte orarie e aumento della densità media delle nostre aule purtroppo dimostrano che più che gli obiettivi educativi degli studenti la priorità inseguita è quella di ridurre le cattedre. Del resto è stato sempre l’art. 64 della legge finanziaria a chiudere le SISS, bloccando in questo modo l’abilitazione all’insegnamento, per cui le graduatorie dei docenti restano blindate mentre un’intera classe di freschi e appassionati neolaureati, da due anni tagliati fuori, contempla vaste prospettive di ancora lunghe attese prima che venga indicato loro il modo di accedere alla docenza, persino da precari.

L’epilogo della saga, si stenta a crederci, è persino più inquietante. Secondo la legge finanziaria i “tagli” (e quindi anche il riordino della scuola) dovevano essere operativi già dal primo anno del triennio 2009/2012. Ma i frutti dei sofferti risparmi non potranno essere incassati prima del 2010/2011, quando i provvedimenti saranno operativi. Tra l’altro, solo per le prime classi. Su questo punto l’hanno avuta vinta le commissioni parlamentari ed il Consiglio di Stato che hanno condizionato il parere favorevole ai regolamenti al fatto che la riforma fosse operativa nel 2011 solo per le classi prime e non per il biennio, come invece si sarebbe voluto. Ciò rassicura i ragazzi che quest’anno hanno appena cominciato il proprio percorso scolastico, alle elementari come alle medie e alle superiori. Ma non rassicura affatto Tremonti che, a questo punto, a legge 133 approvata, naufragata l’ipotesi di risparmio attraverso la razionalizzazione strutturale della scuola, deve pur sempre trovare il modo di far quadrare i conti. E i fondi preventivati come ricavo nell’ambito dell’istruzione – risparmi che solo al 30% sarebbero stati reinvestiti nella scuola – bisogna in qualche modo che saltino fuori.

A questo scopo viene in aiuto l’eredità lasciata da Padoa-Schioppa, ovvero la cosiddetta “clausola di sicurezza”, in virtù della quale quanto non risparmiato col taglio degli organici previsto nella finanziaria viene recuperato riducendo i trasferimenti diretti dal Ministero alle istituzioni scolastiche, ovvero i fondi per l’autonomia (legge 440/97)

Per intenderci, sono i soldi che regolano il normale funzionamento delle scuola, dall’acquisto degli arredi (scrivanie, registri, lavagne) al piano dell’offerta formativa, dalle supplenze alle attività promosse da studenti e insegnanti. Per Padoa-Schioppa era un virtuoso principio per cui dall’incentivo si arrivava prima o poi ad accelerare il risparmio. Applicato alla legge 133 è un dichiarato assassinio.

Non si arrossisca allora di fronte allo tzunami di “proteste della carta igienica”, diffuse tra i genitori di tutta Italia, o all’acceso dibattito intorno alla questione se sia lecito e costituzionale nella scuola pubblica chiedere volontari “contributi” alle famiglie. E mentre i dirigenti scolastici hanno matasse sempre più difficili da sbrogliare (ammesso che resti quel po’ di lana), c’è chi si è inventato perfino le lotterie scolastiche. Nel trambusto, la verità è cristallina per tutti: questa sarà la vera riforma.

Una scuola che dura… tutto l’anno!

di Don Nicolò Tempesta – apparso su “Il fatto del Giorno”

Giorni fa mi è capitato di condividere su un autobus a Roma un po’ di tempo con alcuni giovani ragazzi che commentavano con piacere la notizia apparsa quasi a sigillare l’anno scolastico (già tormentato) 2009-2010: la proposta dell’apertura delle scuole dopo il 30 settembre.

Si tratta di una proposta contenuta in un disegno di legge presentato alla commissione istruzione del Senato e che vede il posticipo dell’inizio dell’anno scolastico al 30 settembre. Un ritorno al passato, come negli anni Sessanta/Settanta, quando la scuola iniziava i primi di ottobre, proposto anche per aspettare la fine del caldo di settembre e “allungare la stagione estiva anche rispetto al ciclo meteorologico. Ciò permetterebbe alle regioni a vocazione balneare un prolungamento della stagione turistica” e di conseguenza “potrebbe aiutare le famiglie a organizzare meglio il periodo delle vacanze e dare anche un aiuto al turismo”.

Basta questa bella notizia  commentavano i ragazzi con i loro zainetti pieni di libri e i loro sorrisi furbi – per anticipare le vacanze! Che gran bella notizia! E intanto il dibattito (non solo politico!) è aperto, proprio come le vacanze che sono ormai alle porte.

Guardavo l’orologio e mancava più di mezz’ora alla mia fermata, mi sono ricordato dei tempi belli della mia età scolare, gli ultimi compiti in classe e le vacanze che sembravano una conquista perché avevo avuto un buon voto sulla pagella scolastica: la vera firma di chiusura all’anno che era ormai al termine.

Così nell’isolamento da trasporto, tipico di chi usa i mezzi per spostarsi, mi sono nate un po’ di domande. Mi sono chiesto se questo è proprio quello che ci vuole alla nostra istituzione scolastica sempre più sotto l’occhio del ciclone; mi sono pure domandato se in un contesto socio-economico più che “liquido”, direi anzi abbastanza fluttuante, come il nostro, l’immagine un po’ fantozziana della famiglia che può programmare le sue vacanze sino a settembre corrisponda alla realtà concreta di chi, con molta probabilità, quest’anno non potrà neppure permettersi “le ferie” considerando soltanto i costi dell’apertura della scuola (settembrina o meno) e il loro peso sul bilancio familiare di fine mese. Mi sono posto pure il quesito circa la data di chiusura delle scuole: se essa verrà posticipata, gli alunni saranno costretti ad andare a scuola fino alla fine di giugno e ad affrontare la maturità fino a luglio. Sono ancora obbligatori secondo la direttiva europea i 200 giorni di scuola su 365? Dal momento che il calendario scolastico è competenza delle regioni e non del governo centrale, non sarebbe opportuno un accordo tra Stato e poteri locali? E infine m chiedo se gli effetti della proposta garantiscono un miglior rendimento scolastico, sebbene ciò interessi ancora a qualcuno.

Al di là dell’immediatezza e forse della superficialità di queste considerazioni che mi fanno pensare alla ferialità della vita delle nostre famiglie, mi domando anche quale sia la differenza tra la nostra scuola e, magari, un centro commerciale, senza orari e forse con l’unico criterio oggi valido, quello finanziario, uno spazio solo “economico” dove far scorazzare i bilanci, i tagli e tutto il resto. I tempi di inizio e fine, le vacanze extra estive si accorciano, si allungano, si spostano senza tener conto di quanto sia cambiata materialmente (e non solo) la vita di genitori, figli e nonni.

Conviene forse che recuperiamo una delle più belle definizioni di scuola (attribuita ad Alberto Magno maestro di san Tommaso d’Aquino! Scusate se è poco!) come laboratorium animae. Spazio dove ci si educa e si cresce: questo è importante! Credo che l’urgenza sia quella di una scuola che riscopra in modo nuovo il suo compito educativo e si organizza per assolvere in modo rinnovato la sua dimensione di “laboratorio” dove si costruisce mattone dopo mattone, con pazienza, la comunità degli uomini di domani.

La scuola educa non ad intermittenza, quasi diluendo in pillole di tempo un tipo di cultura che corre il rischio di diventare sempre più informativa e poco formativa, ma mostrando ai ragazzi il carattere vitale del sapere e facendo assaporare la ricchezza che la scuola stessa ha in ordine alla crescita dell’umanità di ciascuno. Sarebbe utile riproporre le istanze culturali di questo nostro tempo per capire meglio la realtà e per saper interagire con essa; ma sarebbe meglio proporre il sapere per comprendere la propria umanità, nel suo senso e nei suoi valori. Una scuola che nel suo bilancio preventivo alla fine dell’anno scolastico si propone di assumere in pieno la sua funzione educativa, in questo nostro tempo di emergenza educativa (o forse di emergenza educatori!!) è una scuola che ripensa complessivamente il suo progetto riproponendosi come laboratorium animae.

La scuola è luogo di vita, un piccolo universo in cui si intrecciano molte dimensioni: è spazio di cultura, ma anche luogo di relazioni, di trasmissioni di valori, di legame con il territorio e le sue istituzioni… ciascuno di questi aspetti credo debba essere ripensato e re-interpretato alla luce del compito educativo che qualifica e orienta la nostra cara scuola.

Abbiamo bisogno di quella stessa scuola che ha educato tutti quanti noi ad andare a “scuola da grandi”, tutti i giorni, secondo una bella poesia di un educatore che sin da piccoli abbiamo incontrato sui banchi della scuola del nostro paese: Gianni Rodari. C’era tempo sufficiente per poterlo studiare e imparare a memoria le sue filastrocche.

Anche i grandi a scuola vanno
tutti i giorni di tutto l’anno.
Una scuola senza banchi,
senza grembiuli nè fiocchi bianchi.
E che problemi, quei poveretti,
a risolvere sono costretti:
“In questo stipendio fateci stare
vitto, alloggio e un po’ di mare”.
La lezione è un vero guaio:
“Studiare il conto del calzolaio”.
Che mal di testa il compito in classe:
“C’è l’esattore delle tasse”!


Copiare diventa business

Anche ieri mattina, come tutti i giorni, ho acceso il mio computer per cercare di tenermi aggiornato sui fatti del mondo e, come al solito, navigando per i vari siti internet dei quotidiani nazionali mi è saltata all’occhio una notizia; il titolo diceva così: “Padova: mercato nero delle traduzioni al liceo: sufficienza a 5 euro”. Incuriosito (e parecchio) inizio a leggere la notizia e immediatamente inizio a rabbrividire!

Dall’articolo, infatti, si capiva che, sebbene copiare sia, come tutti gli studenti sanno bene, un’attività ben conosciuta e nota, quello che era successo al liceo classico Tito Livio di Padova aveva dell’incredibile. In questo liceo, che è assai noto (è, infatti, il liceo dove si diplomò l’attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano), i ragazzi erano riusciti a realizzare un vero e proprio “mercato nero” delle traduzioni di greco e latino, mediante il quale, pagando 5 €, si otteneva la traduzione della versione che si doveva tradurre durante il compito in classe, assicurandosi in questo modo la sufficienza.

Il metodo escogitato, secondo quanto riportato dal quotidiano “Il Messaggero”, era questo: “appena conosciuto il contenuto del compito in classe uno studente chiedeva di uscire (ma dico io: si può essere così ingenui – per usare un termine educato – da consentire di uscire dall’aula all’inizio di un compito??? vabbè…), si accordava con alcuni colleghi di classi superiori in attesa fuori dall’aula e questi, dopo pochi minuti, consegnavano direttamente o attraverso telefonino il compito eseguito a regola d’arte. La sufficienza era assicurata”.

Il losco mercato delle traduzioni è stato scoperto da alcuni docenti che hanno trovato sul social network più diffuso fra i giovani, Facebook, un gruppo nel quale veniva sponsorizzato questo sistema; docenti che, non appena han scoperto il tutto, insieme alla dirigenza scolastica hanno inflitto pesanti sanzioni (sospensioni di parecchi giorni) scatenando le ire dei genitori che, sempre secondo quanto riportato dal quotidiano “Il Messaggero”, – considerando l’intervento punitivo troppo duro – “ora meditano di impugnare i provvedimenti a carico dei loro figli”.

La cosa che mi ha lasciato maggiormente perplesso non è la punizione inflitta dalla scuola, nemmeno la reazione dei genitori e nemmeno il fatto in se della copiatura quanto, piuttosto, il fatto che per “passare un compito” questi ragazzi si facessero pagare 5€: a mio modesto parere, una vera e propria associazione mafiosa!

Voi cosa ne pensate?