L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane già quest’estate era tornato nell’occhio del ciclone, con la famosa sentenza del TAR del Lazio con la quale sembrava impedirsi l’attribuzione del credito formativo da parte di questa materia per il conseguimento del titolo scolastico. Non solo, la sentenza sembrava anche voler impedire ai docenti di religione di prendere parte agli scrutini e ciò in opposizione a quanto stabilito dal Testo Unico in materia di istruzione che, nel 1994, attribuiva pari dignità agli insegnamenti di religione cattolica ed educazione fisica. Senza dimenticare il fatto che lo studente ha diritto di essere valutato in merito alla materia che ha liberamente scelto, sia essa l’ora di religione o l’attività alternativa. A far chiarezza comunque è intervenuto il regolamento sulla valutazione, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 19 agosto, che ha sottolineato che “la valutazione dell’insegnamento della religione cattolica resta disciplinata dall’articolo 309 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297” e anzi apre la possibilità di “eventuali modifiche” per l’attribuzione del voto numerico.
Qualche giorno fa invece la notizia della proposta Urso suscita un nuovo dibattito intorno all’insegnamento della religione cattolica. L’idea del viceministro alle attività produttive (!!!) di introdurre un’ora di “religione islamica” alternativa a quella “cattolica” ha condensato intorno a sé consensi e opposizioni. Al di là della questione di merito, in cui ci pare discutibile la motivazione secondo cui in questo modo si emanciperebbero i ragazzini musulmani dai “ghetti delle madrasse e delle scuole islamiche integraliste”, vorremmo ricordare alcuni punti.
1. La questione può suscitare un dibattito polarizzato intorno a “sì” e “no” solo in quanto si è totalmente travisato ormai il senso stesso dell’insegnamento della religione cattolica all’interno del sistema integrato di istruzione. Non si tratta infatti di un’ora di catechismo. Se così fosse, sarebbe abbastanza presuntuosa la proposta di Urso di sostituirsi a quelli che lui chiama “ghetti integralisti islamici”. Si tratta invece di una disciplina culturale nel quadro delle finalità della scuola, con la stessa esigenza di rigore e sistematicità delle altre discipline, volta ad approfondire quel fenomeno cattolico che che ha informato di sé per secoli la cultura dell’occidente e che costituisce il background della storia italiana passata ed attuale, perciò, come ha ricordato Benedetto XVI agli insegnanti IRC,”non richiede l’adesione di fede, ma assicura una riflessione argomentata sulle grandi domande di senso e sulla religione cattolica che offre i codici indispensabili per decodificare i segni della storia, dell’identità, dell’arte e della musica dell’Occidente e non solo”. Confondere questo insegnamento con il catechismo è invece prassi comune, confusione a cui sono soggetti non solo i polemisti, ma anche studenti, famiglie, e spesso, diciamocelo, anche gli stessi docenti a cui va attribuita parte della responsabilità del travisamento del programma IRC con quello che non è.
2. Proprio ieri l’altro è arrivata invece una proposta dall’assessore all’istruzione di Roma, Laura Marsilio, per l’affiancamento dell’ora di religione con un’altra SUPPLEMENTARE di storia delle religioni. Sembrerebbe una buona idea e un’ottima opportunità per gli studenti che ne facessero richiesta, anche se c’è giustamente da chiedersi a chi verrebbe affidato tale insegnamento. Se infatti tale attività dovesse tramutarsi in “vetrina” delle varie comunità religiose presenti sul territorio, si renderebbe un cattivo servizio alla scuola e agli studenti con una becera traduzione del sacrosanto diritto al pluralismo. Pluralismo non equivale infatti a bombardare gli studenti, sottoponendoli ad una battaglia ideologica che si combatte nel loro nome, ma che spesso li dimentica. Informazione e formazione sono cose diverse e occorre un personale docente qualificato, individuato dalla scuola anche all’interno delle comunità religiose se serve, ma che non trasformi quest’occasione in una sfilata di confessioni. Educare al dialogo interreligioso, conoscendo giustamente le varie tradizioni culturali e religiose con cui questa nostra Italia sta venendo a contatto, è un’altra cosa.
Tra l’altro pochi sanno che l’insegnamento IRC prevede già ampio spazio per la storia delle religioni e l’approfondimento del tema del dialogo interreligioso e interculturale. Ma del resto è difficile fidarsi di un docente designato dalla diocesi e non dalla scuola. Peccato che, effetti collaterali a parte, è certamente nel collegio docenti il più competente, da quando centocinquant’anni fa sono state abolite le facoltà teologiche dall’università di Stato. Ma questa è un’altra storia.
Quella vera, adesso, ce la stiamo giocando sulla pelle degli studenti. E sarebbe la buona volta che qualcuno si ricordasse che, ora islamica sì o no, sarebbe la loro formazione da mettere al centro, al di là delle esigenze di rappresentatività di ciascuno.
Saretta Marotta