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“Classi di inserimento” per gli studenti stranieri

La sera di martedì 14 ottobre è stata approvata alla Camera (265 voti contro 246) una mozione presentata dal deputato della Lega Roberto Cota che riguarda “l’accesso degli studenti stranieri alla scuola dell’obbligo”.

Ora la mozione impegna il governo a sviluppare una legislazione che preveda test e prove di valutazione da somministrare agli studenti stranieri per l’iscrizione alle classi ordinarie, classi di inserimento da frequentare per coloro che non supereranno il test, e l’attivazione, all’interno di queste classi, di percorsi formativi relativi sia alla conoscenze e alla comprensione dei diritti e doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della legge del paese accogliente) sia al “rispetto per la diversità morale e la cultura religiosa del paese accogliente”.

A seguire il testo completo della mozione.

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Editoriale Ernesto Galli della Loggia

Riportiamo l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul Corriere della Sera del 13 ottobre. Buona lettura!!

Scuola, i riformisti del no

 di Ernesto Galli Della Loggia 

Che cosa realmente sanno della scuola, della causa per cui protestavano, gli studenti che l’altro giorno hanno affollato le vie e le piazze d’Italia? Probabilmente solo che il potere, cattivo per definizione (figuriamoci poi se è di destra!), vuole fare dei «tagli», termine altrettanto sgradevole per definizione, e imporre regole limitatrici della precedente libertà (grembiule, valore del voto di condotta), dunque sgradevoli anch’esse. Sapevano, sanno solo questo, non per colpa loro ma perché ormai da tempo in Italia, nel dibattito tra maggioranza e minoranza, e di conseguenza nel discorso pubblico, la realtà, i dati, non riescono ad avere alcun peso, dal momento che su di essi sembra lecito dire tutto e il contrario di tutto. Nulla è vero e nulla è falso, contano solo le opinioni e i fatti meno di zero.

Esemplare di questo disprezzo per la realtà continua a essere il dibattito sulla scuola. C’è un ministro, Mariastella Gelmini, che dice che la scuola italiana non funziona. Porta delle cifre: sul numero eccessivo d’insegnanti, sull’eccessiva percentuale assorbita dagli stipendi rispetto al bilancio complessivo, sui risultati modesti degli studenti, sulla discutibile organizzazione della scuola nel Mezzogiorno; evoca poi fenomeni sotto gli occhi di tutti: l’allentamento della disciplina, gli episodi di vero e proprio teppismo nelle aule scolastiche. E alla fine fa delle proposte. Discutibilissime naturalmente, ma la caratteristica singolare dell’Italia è che nessuno, e men che meno l’opposizione, men che meno il sindacato della scuola che pure si prepara a uno sciopero generale di protesta, sembra interessato a discutere di niente. Né dell’analisi né di possibili rimedi alternativi a quelli proposti.

Cosa pensa ad esempio dei dati presentati dal ministro Gelmini il ministro ombra dell’istruzione del Pd, la senatrice Garavaglia? Sono veri? Sono falsi? E cosa indicano a suo giudizio? Che la scuola italiana funziona bene o che funziona male? E se è così, lei e il suo partito che cosa propongono? 
Non lo sappiamo, e bisogna ammettere che per delle forze politiche e sindacali che si richiamano con forza al riformismo si tratta di un atteggiamento non poco contraddittorio. Riformismo, infatti, dovrebbe significare prima di tutto la consapevolezza di che cosa va cambiato, e poi, di conseguenza, la capacità di indicare i cambiamenti del caso: le riforme appunto. Non significa dire solo no alle riforme altrui, e basta.
Infatti, alla fine, dato il silenzio circa qualsiasi misura nel merito, l’unica proposta che rimane sul tappeto da parte del Partito democratico e del sindacato appare essere virtualmente solo quella di lasciare le cose come stanno. Naturalmente nessuno si prende la responsabilità di dirlo esplicitamente, ma ancor meno nessuno osa esprimere il minimo suggerimento concreto.

In realtà, a proposito della scuola una proposta precisa è stata ed è avanzata di continuo dall’opposizione politico-sindacale. Alla scuola — ci viene detto — servono più soldi (nel discorso pubblico italiano, di qualsiasi cosa si tratti, servono sempre o «ben altro» o «più soldi»). Insomma, la colpa del malfunzionamento della scuola starebbe nelle poche risorse di cui essa dispone: ciò che almeno serve politicamente a rendere ancor più deplorevole la recente decisione del ministro del Tesoro di togliergliene delle altre. Peccato però che pure in questo caso, per dirla con le parole di uno studioso che non milita certo nel campo della destra, Carlo Trigilia, sul Sole-24 ore di martedì scorso, dall’opposizione «non è stata elaborata alcuna proposta di manovra finanziaria che spiegasse se e come era possibile coniugare rigore finanziario e scelte concrete diverse da quelle del governo». Dunque neppure sul come e dove trovare quei benedetti soldi l’opinione pubblica ha la minima indicazione su cui discutere, su cui fare confronti e alla fine farsi un’idea.

Questo non tenere conto dei fatti, dei dati concreti, questo continuo scansare la realtà, finiscono così per diventare uno dei principali alimenti della diffusa ineducazione politica degli italiani. Nel caso della scuola contribuiscono a far credere a tanti, a tanti insegnanti, a tanti studenti, di vivere in un Paese governato da ministri sadici, nemici dell’istruzione, che chissà perché rifiutano di distribuire risorse che invece ci sono; contribuisce a far credere a tante scuole, a tante Università, che i problemi possono risolversi con la messa in scena spettrale — più o meno per il quarantesimo anno consecutivo! — dell’ennesimo corteo, dell’ennesima «okkupazione».

Corriere della Sera, 13 ottobre 2008

Voto di fiducia per il decreto 137

A fronte dei numerosissimi emendamenti proposti dai deputati (ne sono stati depositati alla Camera 250!) nell’ambito del dibattito parlamentare per la conversione in legge del dl 137, ormai noto come “decreto Gelmini”, il Governo ha deciso di porre il voto di fiducia per abbreviare l’iter e fare in modo che tutto il percorso, comprensivo del passaggio in Senato, possa concludersi entro il termine previsto del 31 ottobre (i decreti legislativi sono provvedimenti provvisori che devono essere convertiti in legge entro 60 giorni, pena la nullità, anche retroattiva). Il decreto va al voto con un maxi-emendamento proposto dal Governo che riassume parte degli emendamenti già discussi nei giorni precedenti. Tra le novità inserite, le norme per gli abilitati SSIS del IX ciclo che entreranno in graduatoria senza le paventate penalizzazioni e un intero articolo aggiuntivo riguardo l’edilizia scolastica e la messa in sicurezza degli edifici.

di seguito tutto il testo del maxi-emendamento (Dis 1.1) . qui invece il testo del dl 137 del 1 settembre che il Dis 1.1 emenderebbe

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Dibattito tra le pagine del Corriere

In questi giorni è in corso un acceso dibattito tra le pagine di opinione del “Corriere della Sera”. Per primo ha cominciato Ernesto Galli Della Loggia con un editoriale sulla crisi dell’istituzione scolastica, a suo parere confermato proprio dal netto taglio di fondi previsto nella nuova finanziaria. Il 22 agosto hanno risposto alle provocazioni di Galli Della Loggia il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini e il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Vi proponiamo qui gli articoli, cominciando da quello della Gelmini. Che ne pensate?

QUARANT’ANNI DA SMANTELLARE

di Maria Stella Gelmini

Caro direttore

Giusto e ingeneroso. Così mi appare l’editoriale di ieri di Ernesto Galli della Loggia sulla scuola italiana e la sua crisi. Giusto nell’analisi sulla condizione della scuola di oggi, nel cogliere la sua «perdita di senso». Dal 1968 a oggi la scuola è diventata quello che non può e non deve essere: un ammortizzatore sociale, una macchina erogatrice di stipendi — per giunta inadeguati — per gli insegnanti. Una tipografia di diplomi — inutili e inutilizzabili — per gli studenti. Un mostro burocratico produttore di normative e circolari che si contraddicono l’una con l’altra. In quarant’anni di ideologia «politicamente corretta», di dominio ideologico della sinistra, la scuola è diventato tutto questo e ha perso il senso della sua missione: la formazione culturale e professionale dei giovani e, insieme, la costruzione del futuro di una nazione.
Galli della Loggia è però ingeneroso quando accusa il governo di considerare la scuola niente più che un inutile costo da tagliare.
Da quando ho assunto la responsabilità di ministro ho avanzato alcune proposte per cambiare uno stato di cose non più tollerabile. Voglio ricordarne alcune. Voto di condotta, divisa scolastica, insegnamento dell’educazione civica, ritorno al maestro unico, rilancio degli istituti tecnici e della formazione professionale. Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito. Sono queste le parole chiave della scuola che vogliamo ricostruire, smantellando quella costruzione ideologica fatta di vuoto pedagogismo che dal 1968 ha infettato come un virus la scuola italiana. Idee che anche il ministro Tremonti ha esposto in una recente intervista.
Tutto questo passa per un’ indispensabile e difficile ristrutturazione della scuola, di cui il governo, e in particolare chi scrive, si sono assunti la responsabilità. Ho condiviso finalità e misure della manovra economica del governo per i prossimi tre anni, oggi legge dello Stato; quella manovra prevede di ridurre il numero degli insegnanti e del personale ausiliario di meno del 10% entro il 2011. In un Paese che ha oggi il più elevato numero di addetti della scuola — ben un milione e 300mila — in rapporto al numero degli studenti, è la prima cosa da fare per riorganizzare la scuola. Non possiamo pensare di cambiare fino a quando ci rassegneremo all’idea che il 97% delle risorse destinate alla scuola serve a pagare stipendi bassi e appiattiti. Inoltre abbiamo introdotto un principio nuovo e virtuoso: un terzo dei risparmi sarà destinato a investimenti per migliorare la scuola, per cominciare a spargere i semi del merito e dare un senso alla parola autonomia.
Sta in queste considerazioni la nostra visione di una scuola che riconquisti il senso della sua missione, che restituisca al futuro la parola speranza, che rimetta al centro il merito e la responsabilità. Nella mia audizione alle commissioni parlamentari ho parlato della necessità di tornare alla «quarta I» di italiano, intesa come letteratura, storia, tradizione, cultura. Noi vogliamo una scuola che insegni a leggere, scrivere e far di conto. Una scuola in cui si torni a leggere I Promessi Sposi e dove non si dica più che lo studente dovrà «padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per gestire l’interazione comunicativa verbale in vari contesti».
Ringrazio Galli della Loggia per avermi riconosciuto buona volontà, e nel ringraziarlo gli chiedo di riconoscere a me, a tutto il governo e alla maggioranza una visione, una cultura, un’idea dell’Italia e del suo futuro, e, insieme, un progetto per la scuola italiana. Un progetto che, non mi stancherò mai di ripeterlo, è aperto a tutti i contributi e vorrei vedesse tutti i protagonisti della scuola — studenti, insegnanti, famiglie — consapevoli del fatto che è impossibile difendere lo status quo e partecipi di un corale impegno, un impegno nazionale, per restituire alla scuola il senso della sua missione.

“Corriere della sera” 22 agosto 2008

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IL PASSATO E IL BUON SENSO

di Giulio Tremonti

Caro direttore, ho letto con molto interesse l’articolo di Ernesto Galli della Loggia sulla scuola.
Nell’articolo l’autore sostiene — tra l’altro — che sarebbero stati «impunemente tagliati i fondi destinati alla istruzione» perché non si sa «a che cosa questa scuola può davvero servire ». Non è così. Nei primi sei mesi del 2008 il prodotto interno lordo italiano è sceso verso lo zero, mentre il deficit pubblico è salito verso il 3%. Dato questo, non c’erano e non ci sono alternative alla scelta di ridurre la spesa pubblica. Tutte le voci di spesa pubblica sono in sé meritevoli: la sanità, le pensioni, l’assistenza sociale, i lavori pubblici, la sicurezza, la difesa, l’istruzione ecc., ma l’interesse generale non è la somma impossibile degli interessi particolari. La novità della Finanziaria per il 2009-2011 non sta comunque tanto nel fatto
che le voci di spesa sono ridotte in assoluto, quanto nel fatto che ogni ministro può fare, all’interno del suo bilancio, la sua finanziaria, finanziando o definanziando le voci di spesa che considera più meritevoli. E’ così anche per la scuola. Per inciso: sulla scuola i cosiddetti tagli sono solo l’allineamento progressivo agli standard europei.
Per la verità, l’intervento di Galli della Loggia va oltre la questione dei tagli perché vede nella scuola italiana l’emblema dell’incertezza che in negativo caratterizza il tempo presente. E’ così. Ma non è così solo in Italia e non è irrilevante rispetto a questa incertezza il fatto che tutte le ideologie introdotte dal ‘900, tanto quelle fondamentali — il socialismo, il fascismo, il comunismo — quanto quelle marginali — il nullismo del ’68 ed il mercatismo liberista — sono, al principio di questo nuovo secolo, in crisi, tutte rifiutate dai giovani che cercano altri, nuovi, diversi valori. Può essere invece il ritorno al passato e all’800, e molti segni sono in questa direzione, può essere che dall’attuale «marasma» prenda inizio un nuovo futuro.

Tornando alla scuola vorrei fare due proposte non economiche. La prima è sui voti. La seconda è sui libri.
Il ’68 ha portato via i voti sostituendoli con i giudizi. I numeri sono una cosa. I giudizi sono una cosa diversa. I numeri sono una cosa precisa, i giudizi sono spesso confusi. Ci sarà del resto una ragione perché tutti i fenomeni significativi sono misurati con i numeri. Un terremoto è misurato con i numeri della scala Mercalli o Richter. Il moto marino è misurato in base alla scala numerica della «forza», la pendenza di una parete di montagna in base ai «gradi», la temperatura del corpo umano ancora in base ai «gradi». La mente umana è semplice e risponde a stimoli semplici. I numeri sono insieme precisi e semplici. Il messaggio che trasmettono è un messaggio diretto. Se gli stessi fenomeni — terremoto, moto marino, pendenza, temperatura corporea — fossero espressi non con numeri ma attraverso frasi complesse con finalità descrittive, il messaggio resterebbe impreciso. E’ esattamente quello che accade nei due segmenti di base e perciò fondamentali della nostra scuola, quello elementare e quello medio. Qui non ci sono più i numeri perché al loro posto sono stati inventati i giudizi. Tra numeri e giudizi c’è una differenza profonda. Ogni valutazione deve mettere capo a una classifica. Questa è la logica della valutazione. Se non c’è una classifica, non c’è neanche una reale valutazione. Nella scuola inglese, ad esempio, gli studenti sono addirittura classificati in un ordine rigido. In ogni classe esiste un primo classificato, un secondo classificato e così via. Mi sembra francamente un’esagerazione. Ma non mi sembra affatto un’esagerazione tornare a dare i voti come una volta: 10, 9, 8, e cosi via, perché la verità è semplice; dare un giudizio senza una classifica significa non dare affatto un giudizio reale. Il voto non esprime un arbitrio ma al contrario obbliga l’insegnante e l’alunno ad assumersi precise responsabilità, a produrre una sintesi dei diversi materiali che stanno alla base di una valutazione di un allievo. Dove non c’è un voto, non viene fornita una reale informazione sul reale andamento scolastico dello studente, né a quest’ultimo né alla sua famiglia.

La logica del giudizio senza vincoli numerici è troppo spesso una logica dell’irresponsabilità, dell’ambiguità, del detto- non detto, dell’interpretazione casuale. I numeri possono, tra l’altro, riflettere una «media». Invece con gli aggettivi e gli avverbi di cui sono riempiti i cosiddetti giudizi si fa solo confusione. In sintesi c’è un numero da togliere e ci sono dei numeri da introdurre. Il numero da togliere è il numero 1968, sintetizzato in 68. I numeri da mettere: 10, 9, 8, 7, 6 etc. L’idea che mi pare giusta è quella di mettere al posto dei «nuovi» giudizi i «vecchi » numeri. Il giudizio può accompagnare il voto, renderlo chiaro, esplicitarlo, in una parola motivarlo. Ma non può sostituirlo. Nella loro strutturale imprecisione i giudizi da soli sono normalmente causa di confusione.
Per come sono strutturati e «bizantinati », basati su formule che tendono ad essere ipocrite, psicopedagogiche, tautologiche, caramellose, offensivo-giudiziarie o presunte tali, i giudizi sembrano fatti apposta per mandare fuori di testa i genitori o per stendere i ragazzi sul lettino dello psicanalista o per portarli tutti insieme da un avvocato che ti predispone il ricorso — quasi sempre vincente — davanti al Tar. Tutto questo mina gravemente un fondamento tradizionale della nostra società, che è quello del rapporto necessario di autorità e insieme di fiducia che ci deve essere tra l’allievo, la famiglia e l’insegnante. Si figuri poi quando gli insegnanti sono tre o quattro per ogni classe.

E poi dopo i voti i libri. Nella scuola italiana da troppo tempo (e non era così prima: è un effetto negativo della «modernità») i libri di testo cambiano con una frequenza forsennata e parossistica. Cambiano per scelta del docente, ma cambiano soprattutto perché gli editori stampano quasi ogni anno una nuova edizione di ciascun testo, in modo che quelli dell’anno precedente diventano automaticamente vecchi — fa più fino dire obsoleti — e con ciò sostanzialmente inutilizzabili. Su questa pratica si possono dire due cose essenziali: è ingiustificata; è contraria agli interessi delle famiglie.
Ingiustificata perché non vi è alcuna reale esigenza didattica per il cambio annuale dei libri di testo. Le scuole non sono dottorati di ricerca dove si è sempre sulla frontiera del cambiamento.

A livello di scuola elementare, media e superiore la matematica è quella di sempre. Quella dell’Ottocento e del Novecento. Sappiamo bene che la frontiera della scienza non è ferma, che avanza continuamente. E tuttavia sappiamo che la base necessaria e sufficiente per l’apprendimento scolastico non muta e non avanza necessariamente da un anno con l’altro. La stragrande maggioranza dei contenuti di insegnamento della matematica, della storia, della letteratura, resta stabile durante lunghi periodi di tempo. Sicuramente non cambia per periodi di cinque anni. Laddove vi sono reali cambiamenti si può prevedere che a manuali «consolidati» per cinque anni vengano aggiunte delle piccole appendici che riportino i fatti nuovi che siano davvero rilevanti o le nuove scoperte scientifiche. Solo questo tipo di manuali dovrebbe essere adottato. Certo, ci sono anche le novità nel metodo di insegnamento. Non pare che abbiano funzionato granché bene se emerge per esempio che il 60% degli alunni italiani dovrebbe essere bocciato in matematica. Se la realtà è questa vuol dire che a essere bocciati non dovrebbero essere solo gli allievi ma anche i loro professori o più in generale la scuola nel suo insieme, metodi di insegnamento «avanzati» compresi. A fare gli esami non dovrebbero essere solo gli alunni ma anche la scuola nel suo insieme. Il cambio annuale dei libri di testo è poi contrario all’interesse delle famiglie. Impedisce di passare i libri dai figli più grandi ai più piccoli, come era una volta. O di comprare i libri sul mercato dell’usato. Dopo essere stati utilizzati un anno solo, i testi diventano inutili.

Tra l’altro questa pratica disabitua gli studenti a trattare i libri con cura, a considerarli oggetti di valore e dunque degni di attenzione. I libri non possono essere un prodotto usa e getta. Nel 2004 sul Corriere ho scritto un articolo sull’«E-book». L’ obiezione che mi fu fatta era sulla sacralità del libro. Era un’ obiezione fondata.

A me sembra che quello della scuola italiana si presenti come un mondo fatto al contrario. Un mondo in cui non è la scuola a servire le famiglie, ma il «kombinata buro-scolastico» a servirsi di loro salassandole per sopravvivere esso stesso. Una volta c’era un maestro per tre classi. Adesso ci sono tre maestri per una classe. Era meglio prima o è meglio adesso? È un kombinata che si nutre con le tasse e che lavora contro la famiglia: più figli hai, più sei costretto a pagare la tassa odiosa e impropria dei libri «nuovi » che ti costano ogni anno centinaia di euro. Forse anche questa, a favore dei «vecchi» voti e contro i «nuovi» libri è una frontiera di quel cambiamento che la gente chiede. Un cambiamento che non è un salto nel vuoto, come nel ’68, ma un ritorno al passato. Al buon senso e alla logica, ai valori e alle tradizioni di un passato che deve e può tornare.

“Corriere della Sera” 22 agosto 2008

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UNA SCUOLA PER L’ITALIA. Crisi di una istituzione

di Ernesto Galli Della Loggia

Tra neppure un mese la macchina della scuola italiana ricomincerà a macinare lezioni ed esami. Una gigantesca macchina fatta di circa un milione di dipendenti, di migliaia di edifici frequentati da milioni di studenti, pronta anche quest’anno ad allestire milioni di iniziative le più varie, a sfornare tra circolari, lettere, verbali e registri, il solito astronomico numero di tonnellate di carta. Una macchina gigantesca, appunto. Ma senz’anima: che non sa perché esiste né a che cosa serva, e che proprio perciò si dibatte da decenni in una crisi senza fine. Crisi la cui gravità non è testimoniata tanto dai pessimi risultati ottenuti dagli studenti della nostra scuola nei confronti internazionali, ma da qualcosa di più profondo e di più vero. Dal fatto che essa si sente un’istituzione inutile e in realtà lo è: apparendo tale, e dunque votata ineluttabilmente al fallimento, innanzi tutto alla coscienza dei suoi insegnanti, dei migliori soprattutto. La scuola italiana non riesce più a conferire alcuna autorevolezza a nessun fatto, pensiero, personaggio o luogo di cui si parli nelle sue aule. Non riesce più a creare o ad alimentare in chi la frequenta alcun amore o alcun rispetto, alcuna gerarchia culturale. E perciò non serve a legittimare culturalmente — e cioè ideologicamente o storicamente — più nulla: non il Paese o il suo passato, la sua tradizione, e tanto meno lo Stato, la Costituzione, il sistema politico: nulla. Si possono tranquillamente frequentare le sue aule e non essere mai sfiorati dal sospetto che l’azione del conte di Cavour, o il Dialogo sopra i massimi sistemi, o una terzina del Paradiso rappresentano vertici d’intelligenza, di verità e di vita, posti davanti a noi come termini di confronto ideali, ma anche concretissimi, destinati ad accompagnarci in qualche modo per tutta l’esistenza.

Il sintomo politico più evidente della crisi in cui versa la scuola è il sostanziale disinteresse, venato di disprezzo, di cui, al di là di tutte le chiacchiere di maniera, essa è ormai circondata dall’intera classe dirigente, a cominciare per l’appunto dalla classe politica. Se il responsabile del Tesoro può impunemente tagliare i fondi destinati all’istruzione, infischiandosene di ogni possibilità di commisurare i risparmi alle esigenze di qualcuna delle ipotesi di cambiamento proposte dal volenteroso ministro Gelmini, ciò accade precisamente perché in realtà Tremonti, come tantissimi altri suoi colleghi, non sa a che cosa questa scuola possa davvero servire, e in essa non riesce a vedere altro che una macchina erogatrice e sperperatrice di risorse. Come di fatto, peraltro, essa rischia ormai di essere.

La verità è che la scuola pubblica che l’Europa conosce da due secoli non è solo un sistema per impartire nozioni. Nessuna scuola autentica del resto lo è mai stata: deve impartire nozioni, come è ovvio, ma può riuscirvi solo se insieme — aggiungerei preliminarmente — è anche qualcos’altro, e cioè se al suo centro vi è un’idea, una visione generale del mondo. La scuola pubblica europea è nata intorno al compito di testimoniare un’idea del proprio Paese, i caratteri e le vicende della collettività che lo abita, sentendosi chiamata a custodire l’immagine di sé e gli scopi di una tale collettività.

Non può esistere una scuola pubblica mondial-onusiana, una scuola italiana che parli in inglese o esperanto. Un sistema d’istruzione pubblico appartiene sempre a un contesto culturale nazionale. Questo è il punto, dunque qui sta il cuore del problema: alla fine, nella sua sostanza più vera, la crisi della scuola italiana non è altro che la crisi dell’idea d’Italia. E’ lo specchio della profonda incertezza di coloro che a vario titolo la guidano o le danno voce – i governanti, gli apparati dello Stato, gli imprenditori, gli intellettuali, l’opinione pubblica – circa il senso e il rilievo del suo passato, circa i suoi veri bisogni attuali e quello che dovrebbe essere il suo domani.

Il profondo marasma della nostra scuola, il grande spazio preso in essa dal burocratismo, dalle riunioni, dalle questioni di metodo, dalle futilità docimologiche, a scapito dei contenuti, è lo specchio di un Paese che non riesce più a pensarsi come nazione da quando la sua storia ha attraversato negli anni ’60-’80 la grande tempesta della modernizzazione. E’ da allora che l’idea del nostro passato si sta dileguando insieme alla consapevolezza dei suoi grandi tratti distintivi. E non a caso è da allora che è diventato sempre più difficile anche organizzare il presente e immaginare il futuro. Da qui, per esempio, ha tratto origine la crisi che ha colpito a suo tempo le tradizionali culture politiche della democrazia repubblicana, e sempre qui sta oggi la difficoltà di vederne sorgere di nuove. Da qui, anche, la generale sensazione d’immobilismo che abbiamo da anni, quasi che dopo il trauma della modernizzazione non sapessimo più ritrovarci, non riuscissimo più a riprendere il bandolo della nostra storia e dunque non riuscissimo più a muoverci. Negli anni ’90 la cesura che era andata producendosi nei tre decenni precedenti è venuta finalmente alla luce: ha definitivamente preso forma un’Italia nuova, ma questa Italia nuova non riesce più a pensare se stessa, non riesce più a pensarsi come un intero, come nazione, a progettare il suo futuro, perché non riesce più a incontrare il suo passato.

Riappropriarsi di questo passato e della propria tradizione per ritrovarsi: questo è il compito urgente che sta davanti al Paese che sa e che pensa. Ed è alla luce di questo compito che esso deve ripensare anche l’intera istituzione scolastica, la quale solo così potrà riavere un senso e una funzione, e sperare di tornare alla vita.
Ridare profondità storico-nazionale alla scuola, ma naturalmente in vista delle esigenze che si pongono all’Italia nuova di oggi e tenendo conto dell’ambito e dei contenuti propri degli studi. E cioè, non volendo sottrarmi all’onere di qualche indicazione, mirare innanzi tutto a ricostituire culturalmente (e per ciò che riguarda l’istituzione anche organizzativamente) il rapporto centro- periferia e Nord-Sud, riaffermando il carattere multiforme ma unico e specifico dell’esperienza italiana; in secondo luogo porre al centro, ed esplorare, il nostro tormentato rapporto con la modernità e i suoi linguaggi, mettendone a fuoco debolezze e punti di forza e cercando anche in questa maniera di costruirci un modo nostro di stare nei tempi nuovi, di averne l’appropriata consapevolezza senza snaturamenti e scimmiottamenti; e infine ribadire la funzione della scuola nella costruzione della personalità individuale, principalmente attraverso l’apprendimento dei saperi, delle nozioni, e la disciplina che esso comporta. Tutto ciò facendo piazza pulita delle troppe materie e degli orari troppo lunghi che affliggono la nostra scuola, e ricentrando con forza i nostri ordinamenti scolastici intorno a due capisaldi: da un lato la lingua italiana e la storia della sua letteratura, cioè intorno alla voce del nostro passato, e dall’altro le matematiche, cioè il linguaggio generale del presente e del futuro universali.

A questo punto ci si può solo chiedere: esiste un governo, esistono dei ministri in Italia? Personalmente mi ostino a pensare di sì. E a credere che ogni tanto gli capiti perfino di ascoltare i gridi di dolore, come questo, che si levano dai giornali.

“Corriere della Sera” 21 agosto 2008

Il decreto fiscale (Dl 112): ecco quel che ci riguarda

E’ stato approvato il 24 giugno il decreto legge n.112 in materia di “disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, meglio conosciuto come “decreto fiscale”. Al suo interno, alcuni punti riguardanti la scuola italiana:

  • art. 15: libri di testo. Riguardo al problema del “caro-libri”, il decreto stabilisceche a partire dal prossimo anno scolastico 2008-2009, nella scelta dei libri di testo vengano per quanto possibile privilegiati testi disponibili, in tutto o in parte, su internet, gratuitamente o a pagamento. Nel termine di un triennio, i libri scolasici dovranno essere prodotti in versione a stampa, on-line o mista. A partire dall’anno scolastico 2011-2012 “il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabili da internet o mista”
  • art.64: a)riduzione del personale ATA del 17% entro il triennio b)entro 12 mesi la realizzazione di un piano di “razionalizzazione e accorpamento” delle classi di concorso, “per una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti” e ridefinizione dei curricula, sempre in ottica di “razionalizzazione”, in particolare per le scuole professionali c)”economie lorde di spesa” (leggi “tagli”) di 456 milioni di euro nel 2009, 1650 milioni nel 2010, 2538 milioni nel 2011 e 3188 nel 2012 (all’art.69 tagli anche per l’università)
  • tra i “nuovi emendamenti” all’art. 64 e già approvati nell’iter di conversione in legge del dl 112 (ora passato, dopo l’approvazione della Camera, all’esame del Senato): a) la sospensione delle SSIS, ovvero le scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario; b) in materia di obbligo scolastico si precisa che tale obbligo può essere assolto anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale. è lecito chiedersi se ciò nella sostanza significa realmente garantire il diritto all’istruzione a tutti fino ai 16 anni…

alcune “curiosità” OFF TOPIC….

tra gli altri punti “interessanti”, la possibilità data all’art. 16 alle università pubbliche di trasformarsi in fondazioni, e quindi ricevere finanziamenti da privati

gossip: agli uffici ministeriali è tagliata al 50% la spesa sulla carta (già immaginiamo gli impiegati a dover contendersi le risme iper-riciclate) e la validità della carta d’identità è estesa a 10 anni e non più 5.

Addio SSIS… e auguri professore!


La commissione Cultura del Senato ha approvato l’emendamento del governo al decreto legislativo n.112 che prevede la sospensione del decimo ciclo delle Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario. Non è ancora legge, ma possiamo prevedere che la maggioranza non tarderà ad attribuire l’approvazione definitiva. Significa che non ci saranno più SSIS, da tanti criticate, perché ritenute onerose e passaggio burocratico inutile, oltre ad essere un ulteriore investimento di tempo e studio per i neolaureati, indotti a trascorrere altri 2 anni nello studio universitario. Ma niente più SSIS non significa che qualcos’altro le sostituirà, almeno non al momento. Un momento che però potrebbe durare anni. Non è infatti adesso previsto nessun meccanismo di abilitazione alternativo, il processo di reclutamento/formazione degli insegnanti è sospeso. Esistono le “vecchie” graduatorie, quelle già bloccate da Fioroni nella previsione del loro esaurimento entro il 2010. Ma con l’annuncio dei 130.000 posti in meno all’organico della scuola italiana previsto nella prossima finanziaria, è più che probabile che tale termine slitterà di parecchio. Nel frattempo, i nuovi laureati che desidereranno insegnare non potranno accedere nè all’abilitazione, nè all’inserimento in graduatoria.

Sono notizie allarmanti, che non possono non tratteggiarci lo smantellamento del sistema di insegnamento secondario. In attesa della sospirata “revisione” dei meccanismi di “reclutamento” e selezione del personale docente, la sospensione delle SSIS ed il blocco delle graduatorie non è certo quel “rinnovamento” che ci attendevamo. Significa rinunciare ad investire sulla formazione degli insegnanti, significa impedire ai giovani laureati nei prossimi anni di accedere all’insegnamento e popolare le scuole, significa affidare l’istruzione superiore a “nuovi” prof che entreranno già “vecchi”, parcheggiati come sono nelle graduatorie da anni, e molti di loro non certo per vocazione, quanto in cerca di una soluzione “di ripiego”, in attesa di “migliore sistemazione”

A questo scenario affidiamo il futuro delle nostre scuole e dei nostri studenti nei prossimi anni. Una scuola di qualità non può che passare da docenti di qualità, e alla qualità aggiungiamo la vocazione, perchè dedizione e passione si trasmettono al pari della conoscenza. Ci pare che l’attuale soluzione legislativa al problema del turn over degli insegnanti non soddisfi nessuna delle due condizioni.

Ricordo ancora quello sguardo miope che all’improvviso si accese di interesse
e fu allora, per la prima volta, che scoprii che mi piaceva insegnare
e ad un tratto mi resi conto che trasmettere abilità rende abili, che trasmettere intelligenza rende intelligenti,
che trasmettere speranza aumenta la speranza.
Cominciai ad insegnare per questo, per togliere l’opaco dagli occhi dei miei allievi

Rimetti a noi i nostri debiti

http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuola-2008-uno/crediti-universita/stor_10647853_08300.jpgLa campanella ha esalato l’ultimo drin, gli zaini volano in fretta sulle spalle infilando la porta, mentre sbatacchiano dentro allegramente gli ultimi cimeli raccattati in fretta dalla postazione di un anno di battaglia: il borsello coi pennarelli serviti per l’ultimo capolavoro artistico graffiato sulla superficie del banco, la foto dedicata e controfirmata doverosamente da tutti, nessuno escluso, anche da chi di solito non ci si fila, il fido diario zeppo di disegni e frasi da ultimo giorno di scuola. Andata come è andata, non è più tempo per rimpianti, promesse, misericordia da implorare: les jeux sont faits e ora cieli spensierati si aprono sull’orizzonte di una lunga estate, certamente disintossicante fino a settembre.

 

Ma al principio di questa estate 2008, gli studenti italiani decisamente non si riconoscono in quest’immagine annacquata dai ricordi di chi la scuola l’ha finita ormai da un pezzo. Niente gavettoni alla fine di quest’anno scolastico 2007/2008, o per lo meno, c’è ben poco da festeggiare.

 

Quasi in 500.000 sono attesi al varco dell’esame di Stato, esame ripristinato con la vecchia commissione mista, che garantisce sicuramente la serietà di una valutazione che aveva praticamente perso senso, ma che certo non contribuisce ad alleviare lo stato d’ansia dei maturandi. Ancora una volta si rinnoverà l’implacabile rituale della valutazione di un quinquennio, i giorni (e le notti) su cui si concentrano i ricordi commossi di chi c’è già passato e le ansie confuse di chi ancora ci deve arrivare. Per questi quasi ex studenti a metà luglio l’avventura sarà già finita, anche se poi per loro si aprirà l’attesa inquieta del debutto universitario, animata per qualcuno magari da un “sano” discernimento dell’ultimo minuto.

 

Gli studenti che protestano, invece, gli studenti incavolati, quelli a cui si sono “rovinate le vacanze” sono altri. E sono molti di più. Al termine del primo quadrimestre erano due milioni ad aver riportato almeno un’insufficienza in pagella. 7 alunni su 10, il 70% del totale. Ma più sbalorditiva è la cifra complessiva delle insufficienze totalizzate: otto milioni. Praticamente quattro voti sotto il 6 per ciascuno. E altrettanti debiti da recuperare. Quando? Sono già stati attivati durante il secondo quadrimestre i corsi di recupero e sarebbe interessante poter verificare, dati alla mano, quanto siano stati efficaci. Ma il calcolo dovrebbe comunque considerare che normalmente alla fine dell’anno le insufficienze si dimezzano, per reali recuperi o misericordie dei prof, e quest’anno si dimezzeranno molto di più, anche per assottigliare il numero degli studenti che dovranno fare ricorso alle lezioni dei mesi estivi. E dei prof che dovranno tenerle ovviamente.

 

La questione è stata la più dibattuta nell’ultima infilata di giorni prima della chiusura delle scuole, coinvolgendo docenti e studenti fino ai tavoli del ministero. Mentre, infatti, si chiudeva l’anno scolastico alle spalle degli studenti italiani insieme ai portoni d’ingresso degli istituti, un avvicendamento ministeriale si compiva nei palazzi di viale Trastevere. Cambiata la maggioranza parlamentare, cambiata la denominazione (e quindi le competenze), e ovviamente cambiato il ministro, ci si attendeva il consueto rituale dei neoprovvedimenti che, non avendo avuto neanche il tempo di essere attuati, già reclamano di essere superati. Ma il ministro Gelmini almeno per il momento pare voler sfatare anche quest’ultimo cliché. A chi reclamava una facile moratoria per risolvere il problema dei debiti scolastici dopo il ricorso COBAS respinto dal Consiglio di Stato il 4 giugno, il ministero ha risposto con una circolare che non ha smentito esplicitamente il fine educativo sotteso dal decreto Fioroni, ma che, riconoscendo le criticità emerse in merito alla pratica attuazione delle strategie di recupero nella complicata babele delle scuole dell’autonomia, ha stanziato ulteriori fondi per l’approntamento dei corsi di recupero e ribadito alcuni criteri, come la tassatività del termine del 31 agosto, rendendo più “elastici” altri, come la “consistenza oraria” che può essere inferiore alle 15 ore e la possibilità di ricorrere a insegnanti di classi diverse da quelle frequentate dai ragazzi durante l’anno.

 

Respinta quindi la soluzione del “condono”, scelta sicuramente utile a risolvere il problema contingente degli studenti che a settembre affronteranno gli esami, loro malgrado, impreparati, ma che ricorrerebbe a quel meccanismo poco virtuoso per il quale le scuole, sentendosi assolte, certo non sarebbero incentivate a mobilitarsi per dare attuazione al decreto ministeriale l’anno prossimo. Un meccanismo ben poco educativo al quale però purtroppo da tempo nel nostro Paese siamo abituati. E mentre si chiude la vicenda dei debiti scolastici, partita in verità tutta aperta rimandata a settembre (ma si spera non alle finanze private delle famiglie), un altro provvedimento è stato varato dal Governo appena ieri: annullato il decreto interministeriale del dicembre scorso, varato in risposta allo scandalo dei “furbi” all’università, che assegnava ai fini dei test di ammissione fino a 25 punti di bonus in base al curriculum di merito delle scuole superiori. A settembre dunque appuntamento ai blocchi di partenza senza vantaggi per nessuno, azzerato il curriculum di studi della scuola dell’obbligo, ma il problema del numero chiuso certamente non è risolto. Rimane la questione che don Milani amerebbe chiamare del “fare parti uguali tra disuguali” e soprattutto ci sarebbe da chiedersi se sia proprio il caso di gettare insieme all’acqua sporca il principio della continuità del proprio curriculum di studi, pur con i suoi premi e le sue disavventure…

(pubblicato su “Il fatto del giorno” )

E’ uscita la circolare sui debiti

Il 4 giugno il Ministero ha sciolto il nodo riguardo gli esami di recupero di settembre, inviando una circolare a tutte le sedi scolastiche. Ecco come si procederà per quest’anno…

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per l’Istruzione
Direzione Generale per gli Ordinamenti del
Sistema Nazionale di Istruzione e per l’Autonomia Scolastica
   
Roma, 4 Giugno 2008
Oggetto: attività di recupero e scrutini finali.
Negli interventi di sostegno e di recupero per il saldo dei debiti scolastici sono state evidenziate criticità da più parti. Tenuto conto che l’anno scolastico è ormai nella fase conclusiva e in considerazione altresì del lavoro compiuto dalle scuole nell’ambito della loro autonomia progettuale, risulta, allo stato attuale, impraticabile una modifica dell’impianto definito dalle disposizioni vigenti e, in particolare, dal D.M. n. 80/2007.E’ evidente, tuttavia, che prima dell’inizio del nuovo anno scolastico si dovrà procedere ad un’ampia riflessione sulle criticità emerse nel corrente anno e rilevate anche dal monitoraggio in atto.

L’analisi da promuovere dovrà, fra l’altro, riguardare la presenza delle condizioni per la piena realizzazione del principio secondo cui le attività di sostegno e di recupero costituiscono parte ordinaria e permanente del piano dell’offerta formativa.

Le eventuali ipotesi emendative saranno poi oggetto di confronto con le organizzazioni sindacali di categoria, le associazioni professionali, le associazioni dei genitori, le consulte e le associazioni degli studenti.

In considerazione della complessità degli interventi promossi o da promuovere e per venire incontro alle richieste delle scuole, l’Amministrazione ha destinato all’attuazione degli stessi risorse finanziarie per euro 57 milioni, aggiuntive rispetto a quelle già previste dalla disciplina contrattuale del comparto.

Complessivamente, pertanto, sono in corso di erogazione alle scuole le seguenti somme:
– euro 197 milioni previsti dalla sequenza contrattuale, sottoscritta in data 8 aprile 2008 tra l’ARAN e le OO.SS, relativa al fondo di istituto; trattandosi di finanziamenti che confluiscono nel fondo unico dell’istituzione scolastica, va precisato che detta quota è finalizzata al recupero e al sostegno;
– euro 57 milioni, sulla base dell’art. 1, comma 634, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007).

Ciò premesso, si ravvisa l’opportunità di sottolineare che il D.M. n. 80/2007 e, soprattutto, l’O.M. n. 92/2007, fissano criteri da assumersi “di norma”, lasciando in definitiva all’autonomia della scuola le scelte organizzative inerenti gli aspetti fondamentali, quali ad esempio:
– consistenza oraria dei corsi;
– modalità di utilizzo dei docenti, anche di classi diverse;
– modelli di intervento (corsi di recupero, assistenza allo studio individuale, utilizzo della quota del 20% dell’orario curricolare, ecc.).

Un aspetto particolare riguarda i tempi di realizzazione degli interventi e delle conseguenti verifiche.
Al riguardo, nel rispetto della programmazione già definita da parte delle singole istituzioni scolastiche, si precisa che entrambe le disposizioni richiamate prevedono che “di norma” i suddetti interventi e le conseguenti verifiche si concludano, salva ovviamente la possibilità da parte delle scuole di anticipare tale data, entro il 31 agosto.
Eventuali proroghe, motivate da particolari esigenze organizzative, saranno adeguatamente valutate anche in relazione alle implicazioni correlate all’avvio del nuovo anno scolastico. Le iniziative di recupero e la loro valutazione dovranno, comunque, concludersi entro la data di inizio delle lezioni.
Si richiamano, inoltre, le vigenti disposizioni sulla programmazione dell’attività didattica, espressione dell’autonomia delle scuole, che prevedono la possibilità di organizzare interventi di sostegno già nella fase iniziale dell’anno scolastico per rafforzare e consolidare il livello delle competenze funzionali ad un proficuo prosieguo del percorso.

Per il puntuale avvio dell’anno scolastico, nella fase di adeguamento dell’organico alle situazioni reali, i Dirigenti scolastici potranno proporre eventuali variazioni alla consistenza delle classi già determinate in organico di diritto, anche in riferimento a rilevanti scostamenti nel numero degli studenti per classe, accertati o ipotizzabili, a seguito delle valutazioni al termine dei corsi di recupero.

IL DIRETTORE GENERALE
Mario G. Dutto

Recupero dei debiti. A settembre che fine fanno?

I Cobas della Scuola (i sindacati di base, diversi da quelli confederali come CISL, UIL e CGIL) avevano avanzato ricorso al Consiglio di Stato relativamente al recupero dei debiti scolastici. Avevano chiesto l’annullamento del decreto fioroni del novembre 2007, affermando che le scuole per la maggior parte non hanno organizzato corsi e seri strumenti di recupero. Oggi la notizia. Il consiglio di Stato ha respinto il ricorso.

In effetti ci sembra che le strategie previste dal decreto ministeriale per il recupero dei debiti siano alla prova dei fatti incerte nell’ambito della pratica attuazione nelle scuole dell’autonomia. Resta quindi il problema degli studenti che a settembre affronteranno gli esami di riparazione, loro malgrado, impreparati. è urgente quindi una soluzione. Tuttavia non vorremmo che il meccanismo della “sanatoria” ipotizzato da alcuni, anche se utile a risolvere il problema contingente, andasse a smentire il principio della riparazione dei debiti su cui il decreto Fioroni aveva fatto fare dei passi avanti. Va risolto il problema degli strumenti e delle modalità di recupero, ma un “condono” forse non incentiverebbe le scuole a mobilitarsi per dare attuazione al decreto ministeriale l’anno prossimo.